Nel privato della propria casa, ognuno ha il diritto di usare ciò che ritiene opportuno. Ma quando si parla di Amministrazioni pubbliche, è lecito adottare strumenti proprietari per conservare e trattare dati sensibili o atti pubblici di cui il proprietario è l’intera collettività ?
Il problema non è banale, affatto, ma purtroppo in Italia (e forse anche all’estero), complice la scarsa cultura informatica, affrontare questioni di questo tipo sembra una cosa da nerd e così viene subito bollata come “non interessante”.
L’occasione per questa riflessione me l’ha data la discussione affrontata durante la seduta di Consiglio Comunale di ieri quando, arrivati alla mozione su “adozione di strumenti informatici per favorire la partecipazione dei cittadini alla tutela del decoro urbano della città”, ho ribadito più volte l’importanza della conservazione dei dati all’interno di sistemi gestiti direttamente dall’Amministrazione Comunale (o altre amministrazioni pubbliche) per garantirne sia la dovuta sicurezza che tutela della riservatezza. Concetti che purtroppo la gran parte della maggioranza del Consiglio Comunale di Siena non ha saputo cogliere, bocciando impietosamente la proposta. Fortunatamente però un Consigliere Comunale, di professione medico, con la sua testimonianza ha confermato che il problema della conservazione dei dati pubblici esiste: come poter garantire ai miei pazienti che i dati riservati relativi al loro stato di salute sono al sicuro, lontano da occhi indiscreti ?
Facciamo un passo indietro.
Da qualche decennio, sin dall’avvento dei cosiddetti Personal Computer (in realtà anche prima, ma con numeri notevolmente inferiori), quasi tutto il mondo informatico si è basato sulla fiducia incondizionata verso le grandi aziende produttrici di software. Pensate a Microsoft, Apple, Adobe, Google e tutte le altre centinaia aziende informatiche esistenti: tutti gli utenti che usano i loro programmi si fidano del buon funzionamento, della qualità e della sicurezza. Del resto, viene da dire, è tutto software commerciale ! Il bello, infatti, è che spesso le licenze di uso di un certo software non contemplano il possesso da parte dell’utente ma solamente il diritto di uso: l’utente Windows acquista il diritto di uso del prodotto, non il prodotto stesso. Questo comporta che l’utente non ha alcun diritto di conoscere come quel software è stato fatto, infatti non può consultarne i sorgenti né farli consultare ad altri esperti: si tratta di software closed-source. Traslando la questione nel mercato automobilistico (paragone che amo fare), è come acquistare il diritto a guidare un’auto con il cofano chiuso, di cui solamente la casa produttrice ha le chiavi (il sorgente) e quindi può aprirlo: quanti di voi acquisterebbero un prodotto così ? Io, personalmente, no. Eppure milioni e milioni di utenti utilizzano prodotti Apple o Microsoft, di cui solamente le aziende hanno i sorgenti, sanno nel dettaglio come funzionano e conservano gelosamente questi segreti, vendendo all’utente solamente il diritto ad usare il loro prodotto, non il prodotto in sé.
“Ma funziona bene” sento spesso rispondermi quando faccio il paragone “pertanto a me va bene così”.
Lecito, assolutamente, fino a che si tratta di uso privato. Ma tornando alla Pubblica Amministrazione, è lecito che i formati dei documenti (.DOC, ad esempio) o i sistemi operativi dei servers e del PC siano totalmente blindati dagli occhi dei cittadini ? O, meglio ancora, è lecito l’uso di software per la gestione di dati (anche riservati o sensibili) di cui non si può conoscerne il funzionamento ? Mi viene proprio da rispondere di NO.
NO perché, ad esempio, se un giorno una di queste aziende fallisse e non vi fosse più la possibilità di avere assistenza su prodotti in uso ? O se l’azienda decidesse di cambiare le sue politiche di licenza ed aumentare a dismisura il prezzo per l’uso dei loro prodotti ? Tutte le pubbliche amministrazioni sarebbero in un solo colpo succubi delle decisioni commerciali di una sola azienda, pena la perdita di tutti i dati ed il blocco dei servizi. Non è fantapolitica, tutt’altro. Pensate ad uno dei software commerciali più diffusi, Windows, o anche solo all’omonimo pacchetto Office, ed alla necessità di mantenere costantemente aggiornati i propri PC con le ultime versioni pena l’impossibilità di garantirne l’assistenza o di poter usare i software più recenti: un mercato enorme, generato solamente dalla necessità di dover “restare al passo con i tempi” e schiavi delle scelte aziendali della Microsoft.
Il software libero, invece, è tutt’altro. I sorgenti sono disponibili e chiunque può analizzarlo, o commissionarne l’analisi ad esperti di sua fiducia. Non vi sono costi di licenza pertanto l’utente può comodamente usarlo, copiarlo, installarlo liberamente dove vuole senza preoccupazioni o rischiando di finire in galera per “pirateria informatica”. E’ una automobile con il cofano aperto, dove insieme alle chiavi ti viene anche dato il “manuale d’officina”, lo schema elettrico e l’elenco dei ricambi, così che chiunque è in grado può aggiustarla o migliorarla. E’ la garanzia che sotto il cofano non ci sono backdoors, la certezza di sapere sempre cosa utilizzo e come funziona. E la tranquillità di poter sempre, in caso di bisogno, affidarsi ad esperti che avranno sempre la libertà di guardare, studiare, modificare come serve, senza vincoli o clausole di sorta.
Una bella differenza, no ?
Differenza che è stata anche rilevata dal Codice dell’Amministrazione Digitale, che all’art. 68 “Analisi comparativa delle soluzioni” recita:
1. Le pubbliche amministrazioni acquisiscono programmi informatici o parti di essi nel rispetto dei principi di economicità e di efficienza, tutela degli investimenti, riuso e neutralità tecnologica, a seguito di una valutazione comparativa di tipo tecnico ed economico tra le seguenti soluzioni disponibili sul mercato:
a) software sviluppato per conto della pubblica amministrazione;
b) riutilizzo di software o parti di esso sviluppati per conto della pubblica amministrazione;
c) software libero o a codice sorgente aperto;
d) software fruibile in modalità cloud computing;
e) software di tipo proprietario mediante ricorso a licenza d’uso;
f) software combinazione delle precedenti soluzioni.
Un gioco interessante potrebbe essere quello di chiedere alle Pubbliche Amministrazioni quale tipo di “valutazione comparativa di tipo tecnico ed economico” è stata fatta per l’acquisto di personal computer con sistema operativo proprietario, soprattutto per quelle postazioni che non hanno alcun tipo di esigenza specifica. Ed anche se, molto spesso, la licenza di uso di Windows viene concessa a poche decine di €, è bene ricordare che si tratta sempre di soldi pubblici e che la scelta, quando l’alternativa esiste ed è gratuita e libera, dovrebbe essere scontata.