Secondo Reuters, anche nel nostro Paese gli operatori di telefonia mobile stanno fornendo alle autorità i dati relativi agli spostamenti dei cellulari, per “beccare” i furbetti che non rispettano l’obbligo di passare la quarantena tra le mura domestiche. Dicono che sono tutti dati anonimizzati. Certo, poi c’era la marmotta che confezionava la cioccolata…
Poi c’è Zuckerberg che, secondo i nostri giornali nazionali, avrebbe lanciato un grido di allarme su WhatsApp e Messenger: «Se l’epidemia si espande, i nostri server rischiano di fondersi». Zuckerberg ha poi spiegato come il traffico degli ultimi giorni sia più che raddoppiato rispetto al normale, attestandosi «ben oltre il picco massimo annuale della notte di San Silvestro». Se la gente è chiusa tappata in casa qualcosa dovrà pur fare, no? Stai a vedere che nel prossimo decreto ci sarà pure il divieto di chattare via WhatsApp, che sia mai il Coronavirus rischiasse di diffondersi anche via messaggino…
Battute a parte, sembra che Mark Zuckerberg abbia detto tutt’altro:
So the normal spike for us is New Years Eve, right, where basically everyone at the same time just wants to message everyone and takes a selfie and sends to their family wherever they are, and to wish them a Happy New Year. And we are (inaudible) basis well beyond what that spike is, on New Years.
And just making sure that we can manage that is the challenge that we‘re trying to make sure that we can stay in front of because of course right now this isn’t a massive outbreak in the majority of courtiers around the world yet, but it is – if it gets there then we really need to make sure we’re on top of this from an infrastructure perspective to make sure that things don’t melt down, and we can continue to provide the level of service that people need in a time like this.
Estratto dalla conferenza stampa #8368103 di Facebook del 18 Marzo 2020
ma che, per motivi oscuri, i media italiani abbiano interpretato il tutto come un grido di allarme rivolto alla disponibilità di Facebook e di WhatsApp. Posso dire che non sarebbe affatto male, visto la quantità di fake news e complottismi che in questi giorni stanno circolando, darsi una bella calmata sull’uso di questi strumenti?
Per contro, Edoardo Fleischner, docente di Comunicazione crossmediale all’Università di Milano, ha dichiato che l’alfabetizzazione digitale forzata del Paese causata dal lockdown farà sì che nulla sarà più come prima. Di sicuro:
- lo smart working non sarà più un tabù, e questo potrà solo far bene all’ambiente, riducendo il traffico, il caos e favorendo un approccio più orientato ai risultati che alla mera presenza alla scrivania, anche nella PA;
- mia nonna, quasi ottantenne, sta prendendo confidenza con le videochiamate via WhatsApp. Ok, WhatsApp. Ma lei ha quasi 80 anni;
- anche se la Rete non collasserà sotto il peso dei film di Netflix e i clip di PornHub, magari sarà l’occasione per fare tutti quegli investimenti infrastrutturali che non sono stati fatti negli ultimi decenni;
- ci stiamo sempre più abituando alla distanza sociale. La nuova normalità è fare un sacco di cose spaparanzati sul divano. Dal pagare la bolletta all’ordinare la cena. Molti alimentari e rosticcerie di paese hanno scoperto che possono offrire un servizio in più e, magari, guadagnarsi qualche cliente. C’è voluto un virus, ma alla fine anche in Italia l’e-commerce sta prendendo piede;
- abbiamo trovato un utilizzo interessante e concreto per le stampanti 3d: dagli adattatori per trasformare le maschere da sub del Decathlon in respiratori alle maschere anti-CoVID fai-da-te;
Tra l’altro, non mancano gli stacchetti comici sul fronte del digital divide, come il prete che dice messa via WhatsApp ma, per sbaglio, attiva i filtri. Una ventata di buonumore, perdio!
Nel frattempo, sempre sul tema, il Ministero dell’Innovazione ha lanciato, via Twitter, una call “per trovare le migliori proposte di soluzione tecnologica al problema di monitoraggio dell’epidemia #coronavirus“.
Qualcuno dica al Ministro che può agevolmente chiedere a Google di accedere alla Google Maps timeline per scoprire dove tutti i cittadini italiani, con uno smartphone Android in tasca, sono stati di recente. Son sicuro che c’è qualcosa di analogo anche per iPhone.
Nel mentre, gli hackers cattivi hanno promesso che non faranno ulteriori attacchi ai sistemi informatici impegnati ad affrontare la crisi dal CoVID19. C’è da crederci? Probabilmente no, per il semplice motivo che non sappiamo chi e quanti sono i blackhat. E non tutti potrebbero condividere questa posizione. In effetti, non sarebbe meglio cercare di mantenere al sicuro i sistemi ICT che trattano i dati sanitari? La speranza è che non tutti siano come quello di Crotone, dove i nomi dei contagiati sono finiti direttamente sui social. In questo caso, non c’è bisogno di scomodare i cattivi: bastano gli imbranati.
Ennesimo decreto, ennesimo modulo di autocertificazione da compilare per giustificare la propria presenza fuori dall’abitazione. Non c’è bisogno di affannarsi a stamparne decine di copie: come annuncia il Viminale via Twitter, gli agenti hanno già a bordo gli stampati in caso di bisogno e il “lasciapassare” di fracchiana memoria può essere compilato al momento.
Iniziano a chiedersi, visto il prolungamento ormai assodato del lockdown ben oltre il 3 aprile, quale sarà il destino degli studenti italiani. Qualcuno si spinge a ipotizzare un rientro a maggio ma, secondo me, viste anche le ultime indiscrezioni sul prossimo decreto, ormai sarebbe meglio concentrarsi su settembre. Il problema maggiore sarà per coloro che hanno da sostenere l’esame di maturità: farlo via web, considerando le enormi problematiche della didattica on-line, in particolare al sud e nelle aree rurali tecnologiamente meno sviluppate, sembra utopico. Si parla anche di proporre una promozione per tutti e festa finita: alla fine, considerando i risultati degli anni senza CoVID19, potrebbe non essere la scelta peggiore.
Il Garante della Privacy si è espresso sulla cosiddetta “ricetta elettronica”, ricordando come una normativa a tal proposito esista dal 2011, praticamente inattuata. La conseguenza, come spesso avviene in questo Paese, è che “la mancata individuazione [da parte del Ministero della Salute, nda] delle predette modalità alternative alla stampa del promemoria cartaceo ha determinato il diffondersi di iniziative autonome, da parte dei medici, molto differenziate sul territorio nazionale, che presentavano profili di criticità in merito alla sicurezza del trattamento dei dati relativi allo stato di salute degli assistiti dal Servizio Sanitario Nazionale“. Specifica inoltre che “in relazione all’individuazione di tali canali alternativi alla stampa del promemoria cartaceo, è stato rappresentato che, nel caso di invio del “promemoria dematerializzato” della ricetta elettronica alla casella di posta elettronica indicata dall’assistito per tale servizio, analogamente a quanto previsto per l’invio dei referti, il promemoria deve essere spedito in forma di allegato al messaggio e non come testo compreso nel corpo dello stesso, deve essere protetto con tecniche di cifratura e deve essere accessibile tramite una credenziale consegnata separatamente all’interessato“. Per l’invio delle ricette via SMS, “è stato rappresentata la necessità che, attraverso tale modalità, sia inviato il solo numero di ricetta elettronica (NRE) e non anche le altre informazioni di dettaglio contenute nel promemoria.“.
Per finire, la perla del giorno è il foglio che alcuni condomini hanno attaccato alla porta dell’appartamento di una dottoressa che lavora all’ospedale di Pisa. Poi tutti a cantare l’inno di Mameli affacciati alla finestra, mi raccomando!