The days after lockdown – La parola chiave è “assembramento”

assembraménto1. Riunione occasionale di persone all’aperto per dimostrazioni o altro: fare, proibire, sciogliere un a.; anche affollamento in genere: sul luogo del disastro s’era formato un grande a. (di gente, di cittadini, ecc.); non posso sopportare l’a. della folla. 2. ant. Adunanza di soldati per il combattimento; moltitudine di armati.
Vocabolario Treccani

Stasera sono uscito a correre un po’ più tardi del solito. Era quasi ora di cena, il vento si era finalmente calmato e il sole stava tramontando dietro le colline della Val di Merse. Passando accanto a delle case, mi ha colpito un forte odore di bagnoschiuma. Si, bagnoschiuma. Lo stesso odore che sentivo quando, nelle serate estive, andavo a correre dopo una giornata trascorsa al mare. Lo stesso odore che esce dai nostri bagni, dopo essersi fatti la doccia a fine giornata. È strano come alcuni odori riescano a scatenare cortocircuiti mnemonici. L’odore di bagnoschiuma, quell’olezzo dolciastro indefinibile, sintetico e a poco prezzo, mi ha ricordato il mare. Quel mare che, quest’anno, probabilmente non riusciremo a vedere o, se sarà possibile, a debita distanza e pagandolo a caro prezzo.

Niente assembramenti. La spiaggia sarà contingentata, ombrelloni distanziati e accesso su prenotazione. Le spiagge libere sembrano destinate a essere chiuse, anche se qualche stabilimento ha già chiesto di poterle occupare perché “serve più spazio”. Fare il bagno in compagnia sarà un ricordo delle estati passate, non di questo. Ed è bene fare attenzione, perché il protocollo sulla balneazione sancisce che, in caso di malessere o annegamento, si dovrà “valutare il respiro soltanto guardando il torace della vittima alla ricerca dell’attività respiratoria normale, ma senza avvicinare il proprio volto a quello della vittima“. Divieto di annegare. Chiaro?

Niente assembramenti. Anche al ristorante e al bar. Niente più caffè in compagnia, chiacchierando con i colleghi. Niente cene con gli amici. Tavoli rigorosamente a 4 metri di distanza e persone debitamente distanziate. Alcuni hanno già installato schermi protettivi di plexiglass, come quelli che nei carceri separano il visitatore dal detenuto. Si tratterà di decidere chi dei due farà la parte del detenuto, ovviamente. I bar prendono le ordinazioni dalla finestra, scontrino a distanza e caffè rigorosamente da asporto, senza possibilità di consumarlo al momento o per la strada. Scenette di ordinaria follia intorno ai bar, con gente che si nasconde per sorseggiare il caffè dietro l’angolo spostando la mascherina quel tanto che basta. Senza farsi troppo vedere, che non si sa mai.

Niente assembramenti. Le scuole ancora al palo. Che succederà ai nostri ragazzi? Come finirà questo disastroso anno scolastico? Per chi dovrà fare l’esame di maturità? Non lo sappiamo ancora. ‘azzolina!

Niente assembramenti. Forza che tra pochi giorni riapre tutto. O no. O boh. Non ho ancora capito quanti sabati liberi ancora ho a disposizione prima che si possa tornare all’outlet. Gente disperata all’idea di tornare all’Ikea, tra la coda per entrare, la coda per lasciare il bimbo al deposito bimbi, la coda per salire, la coda per avere il designer personale a disposizione, la coda per il pranzo, la coda per il caffè, la coda per la cassa. La coda per fare la coda. La giornata passa così, in un attimo. Per soli 200€, se vi è andata bene.

Anche nel settore ICT i grandi eventi ormai sono organizzati solo in streaming, per i temerari in grado di fare webinar se-n-za-do-v-er-ogn-i-volt-a-impa-zz-i-r-e-a-ca-pi-re cosa ha detto il presentatore. Maledetto digital divide. Ve lo ricordate ancora il Silvione nazionale in diretta TV, ormai oltre 10 anni fa, a raccontare la favola delle tre I? Inglese, Impresa, Informatica. L’inglese lasciamo stare, tra Di Maio agli esteri e gogol vari. Impresa che dire, la situazione non pare tanto rosea. Informatica… passiamo oltre, che è meglio.

In compenso la Regione Toscana ha stanziato generosi fondi per l’acquisto di PC e tablet per gli studenti bisognosi. Bene. E poi? È inclusa anche la connessione a Internet? È inclusa anche la formazione per usare gli strumenti telematici scelti dagli istituti? A quanto mi hanno testimoniato alcuni amici e colleghi con figli in età scolare, la situazione è tutta da ridere se non proprio da piangere. A vedere quanto accaduto con altri istituti di istruzione superiore, non ne sono sorpreso (avete visto tutti @trashteamuni su Instagram, vero?). Pare proprio che molti istituti, sia per decisione regionale che motu proprio, hanno deciso di delegare la gestione dei dati relativi alla teledidattica alle grandi corporations multinazionali, come Google e Microsoft. Loro, ovviamente, non aspettavano altro: per il settore “educational” le piattaforme vengono spesso fornite gratuitamente o a costi estremamente contenuti, che tanto l’importante è conquistare i dati della didattica e un importante fetta nel mercato dell’e-learning. I nostri figli, spesso minorenni, si trovano già schedati nel Grande Cloud. “Tanto ormai siamo tutti controllati” dice qualcuno. Grazie, almeno dalla Scuola mi aspetterei un atteggiamento un pochino più responsabile su questi temi. Capisco che manca la carta igienica nei bagni, che le aule cadono a pezzi (ma c’è la LIM a far bella mostra di sé al muro, neh!) e che i nostri insegnanti sono tra i meno retribuiti d’Europa. Ci sono altre priorità. Ok, ma era proprio così difficile, a livello regionale, mettersi attorno a un tavolo (virtuale) insieme alle altre Istituzioni e realizzare piattaforme telematiche in-house per la didattica? C’è già Moodle, piattaforma libera e gratuita dedicata proprio all’e-learning. C’è iorestoacasa.work, che offre videoconferenze libere e gratuite per tutti. Un servizio realizzato in collaborazione con molte realtà ICT italiane, tra cui GARR. Per restare nell’ambito italiano, c’è WeSchool, già usata da migliaia di studenti e docenti.

Insomma, le alternative c’erano e ci sono. Però, nel Paese dello scaricabarile delle responsabilità, meglio non lanciarsi a prendere decisioni azzardate.

P.S. Quanto manca all’emergenza causata dall’abbandono di mascherine e guanti, assolutamente non biodegradabili, nell’ambiente?

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