“Internet presto esploderà in modo spettacolare, come una supernova, e nel 1996 collasserà catastroficamente.”
Robert Metcalfe
Sta per partire la nuova campagna governativa “Be Aware, Be Digital” per la promozione di un utilizzo consapevole delle tecnologie ICT, rivolta soprattutto ai giovani ed a tutti coloro che utilizzano le nuove tecnologie, con lo scopo di “acquisire consapevolezza che la propria libertà digitale non è uno slogan, ma un approccio che consente di essere davvero padroni di se stessi, capaci di muoversi in piena libertà nella dimensione del web“.
Tralasciando la solita fuffologia tipica degli annunci ministeriali, è chiaro che c’è un gran bisogno di sviluppare una cultura informatica di base nella popolazione. Oggigiorno, con uno smartphone di media potenza (il dispositivo, in effetti, non è neanche rilevante), è possibile subire danni anche elevati, non solo economici. E le conseguenze di un furto di dati possono essere molto pesanti e gravi, tanto da non poter ignorare le minacce che arrivano tramite Internet.
Che un video, il cui soggetto (un YouTuber ?) mi sembra anche piuttosto antipatico, possa aiutare a risolvere (o anche solo contribuire) l’immaturità digitale italiana lo trovo alquanto pretenzioso, poiché i comportanti virtuosi si acquisiscono sia con la consapevolezza che con la cultura: due fattori in cui la scuola, dalle elementari in poi (i nostri figli ottengono presto, dai genitori, potentissimi smartphone di cui ignorano i potenziali rischi), è molto carente.
Come ho già avuto modo di descrivere in altri articoli sul mio blog, ogni volta che navighiamo in Rete lasciamo dietro di noi uno “strascico digitale” che ci espone a continui e multipli attacchi, dal più banale phishing al malware che cifra tutto il nostro hard-disk chiedendoci un riscatto.
Chiariamoci, Internet non è un luogo più pericoloso di altri. Nella vita reale, quotidiana, corriamo altrettanti –se non peggiori– rischi. Il problema nasce dalla fiducia insita in ognuno di noi nei confronti delle nuove tecnologie, unita alla sicumera del “a me non succederà mai niente” e “ci sto sempre molto attento“. In realtà è difficile anche per i professionisti del settore ICT rimanere aggiornati sulle minacce informatiche, figuriamoci per l’utente medio ! Anche strumenti come gli antivirus ed i firewall, che sicuramente possono offrire –se mantenuti aggiornati e configurati adeguatamente– un buon livello di sicurezza, aiutano a proteggerci. Ma l’aiuto maggiore sta nel lavorare sul punto più debole di tutti: il fattore umano.
Gran parte delle minacce informatiche, infatti, punta proprio sul colpire il soggetto tra la sedia e lo schermo, spesso più vulnerabile dei dispositivi suddetti. A partire dalla password troppo banale, magari appuntata su un post-it attaccato allo schermo, per arrivare all’allegato malevolo (malware) che, mascherato da fattura, viene ingenuamente aperto dall’ignaro utente.
Tutti attacchi dai quali ci si protegge attuando alcune contromisure preventive (ad esempio un sistema operativo sempre aggiornato e sicuro – ok, visto che me lo chiedete: Linux !) che il classico buonsenso, il medesimo che utilizziamo durante la nostra vita quotidiana.
Così, mentre negli altri Paesi si investe pesantemente sulla cybersecurity nelle scuole, coinvolgendo genitori, insegnanti e studenti (come il progetto Cyber Security Challenge UK), e sempre più voci autorevoli stimolano sul fronte della consapevolezza e cultura informatica (come Tim Cook, CEO di Apple, che dichiara “Learn to code, it’s more important than English as a second language“), in Italia ci si affida all’ennesima inutile campagna ministeriale di informazione veicolata attraverso sconosciuti –ed anche antipatici, a mio modesto parere– Youtuber, senza voler investire sulla Scuola (con la “S” maiuscola), cruciale elemento di debolezza del nostro Paese.