Appena passata la tradizione ubriacatura opulenta del periodo natalizio, con l’approssimarsi del periodo dei “saldi” (dove, secondo stime fatte chissà come, ogni famiglia spenderà circa 150€…) ed i messaggi ottimistici da parte di Letta & C. sull’approssimarsi della fine della crisi, voglio provare a riflettere con voi, amici lettori, su cosa è questa “crisi” e del perché sono ragionevolmente convinto che non se ne uscirà presto ma che, anzi, sarà destinata ad aggravarsi a causa dell’aumento della forbice sociale tra la fascia povera e la fascia ricca della popolazione.
Prendiamo spunto, per iniziare, da un documento pubblicato dalla Banca d’Italia: Il risparmio e la ricchezza delle famiglie italiane durante la crisi
In questo documento si legge, chiaramente:
Le tendenze già in atto si sono accentuate a seguito della crisi, così come dimostrano l’ulteriore caduta della propensione al risparmio e il peggioramento delle condizioni economiche e finanziarie delle famiglie a minor reddito, dei giovani e degli affittuari. Nel complesso è aumentata la disuguaglianza nella distribuzione della ricchezza. Gli indicatori di povertà rispetto al reddito e alla ricchezza sintetizzano le dinamiche esaminate: nel 2010 il 9 per cento delle famiglie italiane aveva un reddito basso e, in caso di perdita del lavoro, una ricchezza finanziaria sufficiente per vivere al livello della linea di povertà per appena sei mesi.
[…]
La tendenza più rilevante evidenziata dall’analisi macroeconomica negli ultimi anni è il notevole calo del tasso di risparmio delle famiglie italiane, in passato elevato nel confronto internazionale: a partire dal 2009, la propensione al risparmio delle famiglie italiane è divenuta inferiore a quella media dell’area dell’euro […]
Credo non vi sia migliore definizione della crisi. Come si è realizzato tutto questo è ormai storia nota, comprese le responsabilità delle banche dovuta alla “stretta creditizia” nei confronti delle PMI.
Ma cosa c’entra il risparmio delle famiglie con “la crisi” ?
Già, questa “crisi”, diventata ormai un modo di dire a giustificazione, anche scherzosa, lecitamente o meno, di qualunque cosa.
Da non economista (e pertanto vi prego di considerare le mie parole per quelle di un semplice cittadino), credo che il risparmio delle famiglie italiane sia stato il più efficace “ammortizzatore sociale” nei confronti della pensate contrazione dei consumi e del potere d’acquisto del ceto medio, ormai in via di estinzione, scivolato inesorabilmente verso la povertà.
I soldi “messi da parte” hanno comunque consentito alle famiglie italiane, tradizionalmente unite ed “estese”, intendendo i vincoli di parentela anche sotto il profilo di auto-aiuto solidale, di affrontare spese impreviste ed anche, in molti casi, il sostentamento in attesa di una nuova occupazione/fonte di reddito.
E’ incredibile come l’Italia, per quanto sia uno dei paesi europei con il più basso livello di reddito pro-capite e con il costo della vita tra i più alti (tanto che l’incidenza dello stesso, l’83,8% secondo i dati del 2012, è in assoluto il più alto dell’intera EU), abbia potuto sopravvivere ad una stretta dei consumi così elevata.
Si, perché in fondo la crisi è questa: è una crisi dei consumi, e se vogliamo -sotto certi aspetti- anche una crisi positiva poiché ha messo in evidenza tutta l’insostenibilità del vizioso ciclo consumistico, irrispettoso dell’ambiente e delle risorse limitate del nostro pianeta.
La crisi dei consumi, però, in un contesto incentrato proprio sul consumo, ha minato alle fondamenta l’intero sistema: per questo si parla di “crisi del sistema”, perché da qui dobbiamo ripartire e creare un contesto socio-economico diverso. O, semplicemente, tornare prima che la sbornia della finanza creativa fagocitasse tutto, non solo i mercato ma le stesse attività produttive, distruggendole in nome del solo dio denaro.
Ok, crisi dei mutui negli USA, crollo della borsa, panico nei mercati, stretta creditizia (nessuno si fida più degli altri = non presto più soldi), aziende in difficoltà, licenziamenti, minori disponibilità finanziarie, crisi dei consumi e si riparte, in una spirale recessiva che sembra non finire più.
Questo, ovviamente, lo scenario per noi semplici cittadini. Le banche, le grandi banche, i colossi finanziari etc etc sono seduti intorno ad un banchetto dove, a “causa della crisi”, si mercanteggiano i diritti dei lavoratori, i contratti, i salari.
Perché la Crisi, o meglio, una delle facce più tragiche della Crisi (concediamogli pure il privilegio della ‘C’ maiuscola), è questa: un ritorno verso lo schiavismo moderno, dove davanti ad una forte disoccupazione vi è un ritorno all’odioso “caporalato” non solo per gli extracomunitari ma anche per gli italiani, ormai stremati e disposti a tutto pur di un lavoro. Pertanto si rinuncia a diritti, si accettano salari più bassi, condizioni peggiori. Una svendita, letterale, sui banchi del mercato del lavoro.
Facciamo un attimo il punto e colleghiamo i puntini.
In Italia il risparmio privato era tra i più alti d’Europa ed è rapidamente calato. Dove sono finiti questi soldi ? Sono serviti a coprire le necessità delle famiglie, private della certezza occupazionale e reddituale. Ma questo flusso di denaro non è servito a stimolare il mercato perché con la scusa dell’austerity, e conseguentemente all’aumento delle tasse (pensiamo solo all’IVA, ICI, IMU, TARES e balzelli vari…), è stato in gran parte drenato per entrare nelle casse statali, a dover ripagare gli interessi sull’enorme debito pubblico che grava ancora sull’Italia.
Eppure il nostro Paese, insieme alla Germania, è uno dei più virtuosi per quanto riguarda il “saldo primario” (Il saldo primario è la differenza tra le entrate delle amministrazioni pubbliche e le loro spese al netto delle degli interessi sul debito pubblico). Incredibile anche perché “La cosa interessante e’ che l’Italia e’ da quasi 20 anni la nazione europea piu’ virtuosa sul fronte del saldo primario.“.
La domanda spontanea è: ma se paghiamo più tasse (“entrate delle amministrazioni pubbliche“) di quanto viene speso, come mai veniamo ancora spremuti come limoni ? Semplice, paghiamo gli interessi sull’enorme debito pubblico italiano, che percentualmente al nostro PIL, è di oltre il 120%.
A quanto la storia riporta, il problema è diventato piuttosto serio da quando, nel 1981, con:
… il cosiddetto divorzio tra Ministero del Tesoro e Banca d’Italia, quest’ultima non fu più obbligata a pagare il debito attraverso l’emissione di moneta. Da questo momento in poi, lo stato italiano doveva reperire in toto capitali sui mercati privati, ciò comportò un’esplosione del debito pubblico a causa degli alti tassi d’interesse offerti dai mercati per il finanziamento della spesa pubblica italiana …
Fonte: Wikipedia
A questo punto è chiaro come il nostro enorme debito pubblico, in mano ai privati, sia la nostra spada di Damocle, una idra dalle mille teste che divora tutti i “sacrifici lacrime e sangue” perché “ce lo chiede l’Europa”. Come siamo arrivati all’indebitamento, è la domanda che sorge spontanea.
Del resto le grandi infrastrutture pubbliche, alcune ancora incompiute, i pensionamenti anticipati, le assunzioni nelle amministrazioni pubbliche considerate postifici clientelari per le diverse forze politiche che si sono susseguite nell’arco parlamentare….beh, tutto ha un costo e la cosa più odiosa è che questo enorme fardello è stato caricato sulle generazioni future.
Qui si chiude il cerchio, lo scenario è completo.
Non appena il risparmio privato delle famiglie sarà terminato, ed intendo terminato per circa il 60-70% dei nuclei familiari, con probabili e conseguenti numerose insolvenze tra i mutui immobiliari (e conseguente crollo del mercato immobiliare, a cui peraltro stiamo già assistendo ai primi scricchiolii…), la situazione sarà incontrollabile.
Impossibile prevederne le conseguenze. Certo è che se non viene invertita la spirale recessiva in cui siamo avvitati, non vi sarà altro scenario possibile. L’Italia è diventata sempre più terra di conquista per ricchi stranieri facoltosi, russi e cinesi in prima fila, che non esitano ad acquistare i nostri gioielli più preziosi,le nostre eccellenze, relegandoci sempre più a provincia di un impero che non controlliamo e che neanche più capiamo.
Ci dicono che adesso decide “il Mercato”. A quali regole risponda, non è dato sapere. Anzi, si: risponde alle “regole del mercato”. Se la suona e se la canta, dice un adagio popolare. Se non fosse che sul tavolo da gioco c’è la nostra vita, il nostro benessere, la nostra felicità.
Impossibile non pensare che tutto questo non faccia parte di un disegno ben orchestrato da qualche entità superiore: non si uccide il debitore, lo si strangola piano piano, lo si dissangua.
La sensazione che si prova è proprio questa, di essere strangolati lentamente. E’ la Crisi.