Dovremmo iniziare a preoccuparci di tutelare anche il nostro DNA ?

L’artista americana e biohacker Heather Dewey-Hagborg è diventata famosa creando volti analizzando il DNA recuperato in giro, dai mozziconi di sigaretta gettati a terra ai capelli rimasti sui sedili dell’autobus.

By Heather Dewey-Hagborg – Own work, CC BY-SA 4.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=34806835

Se questa forma di arte estrema può sembrare solo una esagerata follia, una provocazione, in realtà essa pone uno sguardo molto critico sulla nostra privacy e sulla tutela dei nostri dati personali, come è a tutti gli effetti anche il DNA.

Proviamo ad immaginare tutte le occasioni quotidiane in cui lasciamo in giro il nostro DNA, ad esempio le  tracce di saliva sulla tazzina di caffè al bar, il mozzicone di sigaretta, il chewing-gum, il capello o un bulbo pilifero. Le informazioni che possono essere estratte da queste microscopiche tracce sono tantissime, dalla nostra etnia al nostro stato di salute. E chiunque di noi, con un piccolo investimento di neanche 100€, può farlo: ci sono delle aziende specializzate proprio nell’analisi del DNA, per ricavare ad esempio l’origine etnica o altre informazioni sul nostro corpo.

E’ incredibile pensare a quale livello è arrivata la ricerca scientifica dopo 65 anni dalla scoperta di Watson e Crick nel 1953 sulla “doppia elica” dell’acido desossiribonucleico: attraverso il web possiamo acquistare un kit di analisi del nostro patrimonio genetico ed averne i risultati in pochi giorni, sempre via Internet.

Se da un lato tutto ciò è sicuramente affascinante, viene spontaneo chiedersi fino a quanto sono tutelati la nostra privacy ed i nostri “metadati”, ovvero tutte le informazioni relative alle nostre abitudini, preferenze, gusti e opinioni, anche politiche.

Abbiamo visto, in uno dei miei ultimi articoli, come lo smartphone controlla ogni istante della nostra quotidianità grazie a tutta una serie di sensori che inviano continuamente i dati ai provider di informazioni, come Google o Apple. E già molte soluzioni di autenticazione si avvalgono delle tecnologie di riconoscimento biometrico, come il volto, le impronte digitali o il timbro della nostra voce.

Proprio sulla voce, ad esempio, le nuove tecnologie di assistente virtuale come “Alexa” o “Google Now analizzano continuamente i suoni ambientali attraverso tecnologie di analisi basate sul cloud: tutto l’audio catturato viene inviato a server remoti che lo analizzano, in tempo reale.

Per non parlare, come già sta avvenendo in alcuni Paesi come la Cina, dell’aumento di sistemi di videosorveglianza con tecnologie di riconoscimento facciale che già vengono utilizzati in alcuni esercizi commerciali, come KFC (Kentucky Fried Chicken, una catena di fast food specializzata in pollo fritto), per riconoscere i clienti e proporre loro il menù adatto alle loro abitudini.

Anche in Italia, attraverso l’introduzione del sistema SARI (Sistema Automatico Riconoscimento Immagini) alla dotazione delle forze di Polizia, è già stato possibile identificare e catturare dei “topi di appartamento”.

Niente di nuovo, peraltro: avete notato come già Facebook riconosce -e tagga automaticamente- i volti dei nostri amici appena carichiamo una foto sul nostro profilo ?

Insomma, la prossima frontiera della sorveglianza e del marketing passa per il nostro corpo: voce, faccia, impronta digitale e dna. Scenari alla “Gattaca” (celebre film del 1997 con Ethan Hawke, Uma Thurman e Jude Law) sono oggi sempre più vicini. La speranza è che la società, o almeno la parte ancora sana e meno spregiudicata di essa, sappia reagire in tempo per evitarlo.

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