Facebook: business o verità? Il caso di Milena Gabanelli

“La fama è volubile, lo so. Regala gratificazioni e inconvenienti, io li ho sperimentati entrambi.
Marilyn Monroe

A Facebook interessa la verità? È veramente interessato a proteggere i suoi utenti dalle fake news? Ne abbiamo già parlato anche in precedenza ma quanto accaduto alla nota giornalista Milena Gabanelli ci stimola ad affrontare nuovamente la questione.

Vi sarà già capitato di vedere la pagina Facebook “sosteniamo REPORT e MILENA GABANELLI“, dove compare in bella mostra il volto della giornalista con il consueto sfondo rossonero dello studio di Report, la trasmissione che ha contribuito alla sua grande popolarità. La serietà della Gabanelli e di Report non vengono certamente messe in dubbio, anche grazie al metodo con il quale vengono affrontate le varie tematiche, che spaziano da temi scientifici a argomenti politici.

Sfruttamento dell’immagine per diffondere fake news?

Al giorno d’oggi i rischi di incappare in un improprio sfruttamento della nostra immagine è reale e preoccupante: ad iniziare dai tanti profili fasulli che nascono ogni giorno sui social network con lo scopo di sfruttare l’immagine di una persona (che può essere semplicemente una ragazza carina oppure un personaggio famoso e influente) per truffare, diffondere notizie infondate o comunque manipolate ad arte con scopo di propaganda o di guadagno.

Lo scenario appena descritto è esattamente ciò che è accaduto a Milena Gabanelli, secondo quanto risulta dal suo racconto all’interno del format Dataroom: Perché Facebook non tutela la verità: una storia personale.

L’aspetto che più ci ha colpito di tutta questa vicenda è l’immobilità di Facebook e delle istituzioni di fronte alle ripetute sollecitazioni da parte della giornalista: non sono state sufficienti né le segnalazioni né le denunce per fermare l’attività lesiva nei confronti della sua immagine da parte della suddetta pagina Facebook, creata il 20 novembre 2011 e ancora attiva. Gran parte dei link condivisi risultano provenire sempre dai soliti blog, gestiti –a quanto pare– dalle medesime persone. Ad aggravare la situazione è lo spropositato numero di follower che questa pagina ha attirato nel tempo: oltre 345.000 persone hanno creduto, consapevolmente o meno, alla veridicità delle notizie diffuse, contribuendo anch’esse alla loro diffusione ed autorevolezza.

Solo per soldi.

Viene spontaneo chiedersi quale possa essere lo scopo di coloro che usufruiscono di tali strumenti. Una veloce analisi dei principali blog a cui rimandano gli articoli condivisi su tale pagina evidenzia sempre il medesimo account pubblicitario del network Google Adsense: ca-pub-4186805744441416.

Tali codici –per chi non lo sapesse– servono ad identificare chi beneficerà dei guadagni prodotti dalle pubblicità visualizzate. Questo dato conferma la nostra ipotesi secondo cui vi sia una vera e propria strategia di business dietro allo sfruttamento dell’immagine di un personaggio noto all’interno della pagina incriminata.

Una veloce ricerca di tale codice identificativo ha inoltre evidenziato la sua presenza anche in altri blog di “controinformazione”, ovviamente anch’essi infarciti di annunci pubblicitari, che pubblicizzano altre pagine Facebook contenenti i medesimi link.

Per concludere, il nostro suggerimento è di evitare accuratamente qualsiasi supporto a certe pagine e/o blog, segnalando prontamente qualsiasi abuso ed usando un ad blocker (come l’ottimo plugin uBlock Origin) per evitare di sostenere economicamente tali iniziative. In attesa che il legislatore prenda atto della gravità del problema e si impegni a promulgare norme che sappiano tutelare adeguatamente l’immagine delle vittime.

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