“Il senso morale di una società si misura su ciò che fa per i suoi bambini.”
Dietrich Bonhoeffer
Si fa un gran parlare di “nativi digitali” e di “millenials“, ragazzi nati negli anni della rivoluzione digitale e, quindi, secondo il pensiero comune, automaticamente esperti di nuove tecnologie (sono “nati imparati“, a quando sembra). Inutile sottolineare che non la penso affatto così. Anzi, personalmente trovo controproducente il contatto morboso con la tecnologia sin dai primi mesi di vita: si impara infatti un approccio emulativo, escludendo di fatto tutto il ragionamento per comprendere come mai si ottiene un certo risultato con una certa azione. Non a caso, molti “nativi digitali”, si dimostrano molto superficiali con l’approccio alle nuove tecnologie, web e social networks compresi. Tanto che negli ultimi anni abbiamo assistito a tristi fenomeni come il cyberbullismo ed il revenge porn, a testimonianza di come i nostri figli sono bravissimi a condividere foto e video ma ignorano totalmente sia come funziona la Rete che le conseguenze delle loro azioni sul web.
Con ritardo, anche le istituzioni si sono accorte del problema, forse sollecitate dalle tante, troppe notizie di cronaca nera. E si sono anche accorte di come, spesso, i genitori siano totalmente inconsapevoli della vita virtuale dei propri figli: in un Paese in cui l’analfabetismo funzionale raggiunge vette del 70% (in cui, lo ricordo, vi è calcolato anche la comprensione delle nuove tecnologie), non stupisce che vi siano 30 milioni di iscritti a Facebook che, in realtà, non hanno idea di cosa sia realmente Facebook.
Manca, in sostanza, una vera e propria cultura informatica di base, che anche l’istruzione sembra incapace di dare, preferendo puntare su didattiche con LIM e tablet, senza però preoccuparsi di dotare gli studenti degli strumenti adeguati a comprenderne il funzionamento (forse perché i primi a non comprenderlo sono i docenti stessi ?).
Per sopperire a questa mancanza, le istituzioni puntano su programmi di istruzione preconfezionati dalle grandi multinazionali come Apple o Microsoft (ne ho già parlato qui), che ovviamente avranno prima di tutto l’obiettivo di formare futuri clienti per i loro prodotti.
Talvolta, però, alcune istituzioni si impegnano nella costruzione di programmi alternativi, come in questo caso ha realizzato il Corecom toscano con il progetto Internet@Minori@Adulti:
“Internet@minori@adulti”, realizzato dall’Università degli Studi di Siena, che ringrazio a nome dell’intero Comitato, è finalizzato sia alla tutela dei cosiddetti nativi digitali, per proteggerli dalle insidie della rete (cyber-bullismo, pedopornografia on-line, grooming) che per informare gli adulti (i genitori) e gli anziani (i nonni) su come vigilare e aiutare figli e nipoti ad utilizzare lo strumento informatico con intelligenza e senza rischi.
Una iniziativa sicuramente interessante (il cui Vademecum è disponibile in rete gratuitamente) che però non ha avuto, causa la cronica e sempreverde scusa degli insufficienti fondi stanziati, la necessaria diffusione e promozione.
A distanza di 4 anni dall’inizio del progetto (2013), a seguito di una mia interrogazione al Consiglio Comunale di Siena, l’assessora Tarquini ha confermato che “hanno partecipato a questi percorsi venti scuole in Regione Toscana e duemila famiglie, comprendo tutte le province toscane, un paio di scuole per ogni provincia“.
Un po’ troppo poco, per un progetto che invece era meritorio di ampia diffusione. E questo non può che confermare la scarsa consapevolezza del problema dell’uso dei nuovi strumenti informatici.