“L’Italia è un posto dove le cose stanno sempre per succedere. Di solito, sono cose insolite: la normalità, da noi, è eccezionale.”
Beppe Severgnini
Che l’italiano amasse il dialogo è cosa ben nota. L’italiano ama parlare e discutere su tutto e su tutti, un giorno allenatore e l’altro ingegnere, poi filosofo, chimico, urbanista, muratore. Medico, fisioterapista, sarto, cuoco, scrittore e giornalista. Politico, ovviamente mancato.
Ovviamente anche la Rete non può che rispecchiare questa peculiarità nostrana, confermando che la principale app usata negli smartphone degli italiani è WhatsApp, seguita da Facebook.
Secondo le statistiche, infatti, usando il nostro smartphone “6 minuti ogni 10 vengono trascorsi su Facebook o WhatsApp” (Fonte: Internet: gli italiani intrappolati nella bolla di Whatsapp e Facebook).
Anche mia nonna, sul suo smartphone, usa WhatsApp. Non ha ben capito cosa sia, e non saprebbe spiegarlo, perché “è quella cosa che serve a mandare i messaggini con le amiche” e proprio non si cura né di sapere che su Internet si possono fare anche altre cose (come leggere o spedire e-mail, ad esempio) né di sapere cos’è Internet. Immagino che per gran parte degli ultrasettantenni la situazione sia analoga. Del resto WhatsApp si è dimostrata una vera e propria killer application: ha permesso di restare in contatto con le persone nella nostra rubrica telefonica senza l’onere di doversi telefonare e senza costi aggiuntivi. E poi si possono scambiare foto, video, messaggi vocali…
Del resto, sempre i dati ci dicono che due minuti su tre online li passiamo su device mobili. E non fatico a crederci: ovunque, sempre di più, si vedono persone a testa bassa sullo schermo del proprio telefonino. Tuttavia se l’uso di uno strumento potente come la Rete è destinato soprattutto alle chat e social networks, che comunque rispondo a precisi algoritmi per la gestione dei contenuti (ne ho parlato qui: Facebook sta mangiando Internet ?), qualcosa non ha funzionato nel modo giusto.
Iniziamo ad esempio dal fatto che, nella UE, siamo il Paese che usa meno la Rete. La responsabilità può essere sia nel digital divide, che di fatto esclude una discreta fetta dall’accesso ad Internet, che da pregiudizi socio-culturali duri a morire. E la scuola, anche in questo, certo non favorisce una inversione di tendenza, preferendo seguire le mode, come l’uso del tablet in classe, che istituendo programmi di insegnamento adeguati al contesto tecnologico in cui i nostri figli sono immersi. Via libera pertanto all’uso superficiale di uno strumento potentissimo come la Rete, che nei Paesi più lungimiranti di noi ha rappresentato, e ancora rappresenta, un volano per l’economia.
L’uso superficiale di Internet è confermato anche da questo ulteriore grafico, che confronta le nostre abitudini con quelle dei “vicini” anglosassoni. Colpisce, tra le altre cose, la percentuale di chi usa la Rete per informarsi: in Italia solamente l’1% legge le notizie sullo smartphone ! Del resto le indagini Censis rivelano che, anche se in inesorabile declino, la TV rimane, con il 95,5%, il mezzo di informazione preferito dagli italiani.
Tuttavia l’informazione on-line non è un business particolarmente interessante, almeno stando ai dati. E anche l’andamento di spesa delle famiglie per consumi mediatici conferma come vi sia una vera e propria impennata per l’acquisto di smartphone, mentre i media cartacei (libri compresi) vivono un inarrestabile declino.
La tendenza è così del tutto e subito, della notizia immediata che, dopo pochi minuti, è già vecchia. L’esaltazione del pettegolezzo e della notizia pronta all’uso a discapito della riflessione e dell’approfondimento. Una presenza virtuale concentrata essenzialmente sul gossip.
Italiani, un popolo di santi, poeti e chiacchieroni. Anche on-line.