TL;DR La transizione da analogico a digitale porta con sé tutta una serie di criticità che difficilmente si riescono a superare, soprattutto quando il contesto non sembra capace di reagire adeguatamente alle sfide del futuro.
Ogni momento di transizione porta con sé innegabili difficoltà. La transizione dall’analogico al digitale non fa eccezione, tanto che da qualche anno l’Italia sta vivendo in una burocrazia ibrida in cui le nuove tecnologie faticano a penetrare nei processi e nelle consuetudini sia delle realtà private che della Pubblica Amministrazione.
La manifestazione più evidente di questo fenomeno sono i tanti moduli da scaricare, stampare, compilare con penna, firma autografa, scansione e invio via posta elettronica. L’aberrazione di queste procedure sono quei moduli online che pretendono di ricalcare l’analogo cartaceo e, alla fine della compilazione, generano un file PDF da scaricare, stampare, firmare, scannerizzare e inviare digitalmente.
Prosegue, in certi contesti, anche l’uso del fax. Una tecnologia che, almeno nella Pubblica Amministrazione italiana, è proibito almeno dal 2013 quando il c.d. “Decreto del Fare” decretò, finalmente, la morte –almeno su carta– di questo strumento di trasmissione documenti attraverso una modifica all’art. 47 del CAD -Codice dell’Amministrazione Digitale- che sentenziò:
E’ in ogni caso esclusa la trasmissione di documenti a mezzo fax;
Art. 47 – Codice Amministrazione Digitale
A distanza di quasi 10 anni sembra incredibile pensare che ancora oggi alcuni uffici pubblici si scambiano documenti usando questa tecnologia ma purtroppo, secondo diverse testimonianze anche dirette, è la tristissima realtà.
Anche laddove il fax non è più usato, la difficoltà nell’introdurre sistemi di raccolta dati totalmente online (seguendo la filosofia del “paperless office”) è evidente. Già dover pensare dei moduli online sulla foggia degli analoghi cartacei è un errore, poiché il medium è diverso e le caratteristiche difficilmente conciliabili. Inoltre, le piattaforme digitali finalmente possono beneficiare di tutta una serie di strategie, come l’autenticazione e il recupero dei dati via SPID, che dovrebbero semplificare moltissimo –per il cittadino, ma anche per l’addetto– la gestione delle pratiche online, attraverso campi anagrafici precompilati. Anche questo banale passaggio, talvolta, pare non essere possibile: a dispetto della norma che imporrebbe alle PA di non richiedere ai cittadini dati di cui sono già in possesso, oltre al principio di minimizzazione del dato imposto dalla normativa europea GDPR, quante volte ci siamo trovati nella situazione di dover riscrivere i medesimi dati, più e più volte?
E poi, c’è la firma digitale. Per alcuni è ancora un mistero come si possa applicare una firma invisibile a un documento digitale, ma tant’è (tanto che certe piattaforme dovettero adottare una specie di artefatto grafico a forma di sigillo rosso). Ma soprattutto, anche quando il cittadino si è dotato della firma digitale (che non è la scansione della firma autografa), è frustrante sentirsi dire che “mi spiace, non siamo attrezzati per la firma elettronica” quando basta, molto banalmente, usare un servizio online come quello di Poste Italiane per la verifica è questione di attimi.
Che poi, tra una firma autografa e una digitale, quale è quella più sicura? La risposta è banale, poiché una firma digitale non assicura solo la non repudiabilità di un documento, ma pure la sua integrità: una sicurezza non da poco, considerando che un documento scannerizzato è un file immagine che può essere comodamente modificato a piacere senza lasciare evidenze palpabili.
Problema spesso risolto (!) allegando alla domanda firmata a penna un documento di identità (come se una foto alla carta di identità potesse certificare la paternità di un atto o una firma), con il risultato poco piacevole di avere la copia del proprio documento a giro per svariati uffici e sistemi informatici, non sempre adeguatamente protetti (i vari data breach, anche delle PA, dovrebbero averlo dimostrato incontrovertibilmente).
Una pezza di cui, peraltro, spesso si è obbligati perché ormai tutto viene fatto online, peccato che l’utenza non è molto spesso adeguatamente formata, capace o dotata degli strumenti giusti, con il risultato di doversi arrangiare con strumenti analogici in un contesto digitale: un connubio spesso infelice, che porta con sé tutta una serie di problemi di sicurezza non facilmente risolvibili (come il furto d’identità, ad esempio).
Il risultato è che posso fare pratiche di voltura dei contatori totalmente online, senza stampare neanche un foglio e comodamente seduto sul divano di casa, mentre per una variazione anagrafica devo compilare un form online che genera un PDF, stamparlo, firmarlo, caricarlo su un portale e attendere pazientemente che la procedura venga espletata da un addetto, con l’immancabile timbro inchiostrato a sigillare il tutto.
E’ la burocrazia ibrida, bellezza! (cit)