La preoccupante invadenza di Microsoft nelle Università Italiane

La notizia che la Microsoft avrebbe fatto un incontro “dedicato esclusivamente a studenti, ricercatori, professori e staff delle università” che 

…rientra nell’Accordo Quadro Education Transformation Agreement siglato da Microsoft e Crui per la trasformazione dell’istruzione allo scopo di creare un clima di progresso tecnologico e culturale tra gli studenti, facilitare l’accesso alle tecnologie più avanzate disponibili sul mercato, aumentare le iniziative di ricerca e mettere a disposizione delle università gli strumenti tecnologici più innovativi per garantire un’istruzione universitaria di qualità grazie all’utilizzo dell’Information&Communication Technology nell’insegnamento, nell’apprendimento e nell’amministrazione degli istituti didattici

(il grassetto è mio, per evidenziare le parti salienti) mi ha fatto nascere svariate domande.

Iniziamo dall’aspetto etico: una PA, come le Università, che si finanziano in parte attraverso FFO (Fondi Finanziamento ordinario) da parte dello Stato, e quindi soldi pubblici, trovano opportuno siglare accordi di questa rilevanza con aziende multinazionali come Microsoft (o Apple) ?

Proseguiamo leggendo la descrizione dell’accordo tra Microsoft e CRUI “Quadro Education Transformation Agreement”:

“clima di progresso tecnologico e culturale” “facilitare l’accesso alle tecnologie più avanzate”  mostrando a tutti quanto sono belli e funzionali i loro software proprietari, i cui sorgenti sono segreti e di cui all’utente pagante viene data solo la possibilità di utilizzarlo come decidono loro (leggete l’EULA – End User License Agreement) ? Lo trovo alquanto stravagante.

ma la vera chicca sta qui: “mettere a disposizione delle università gli strumenti tecnologici più innovativi per garantire un’istruzione universitaria di qualità”, che si può leggere, al netto della demagogia, “noi vi forniamo i software per la vostra Università, così che studenti, docenti e ricercatori impareranno bovinamente ad usarli e noi continueremo a fare un sacco di soldi ed a dettarvi le regole”.

Per quanti anni il sistema operativo Microsoft Windows è stato semplicemente considerato IL sistema operativo ? Ancora oggi, una percentuale non troppo trascurabile di utenti ignora l’esistenza di sistemi operativi alternativi, contribuendo a rafforzare il monopolio de-facto di Microsoft nelle realtà private e pubbliche italiane, europee e mondiali.

Come più volte ho scritto anche qui, nel mio blog, trovo che l’uso di software proprietari nella PA sia, ovviamente se non assolutamente indispensabile, sbagliato. E non esclusivamente per il fattore economico, comunque non trascurabile (parlo dei costi per le licenze di uso), ma soprattutto per poter garantire sicurezza ed indipendenza della propria infrastruttura telematica nei confronti degli utenti e dei cittadini.

Senza volermi ripetere sul perché il software open source offra garanzie di sicurezza superiori a qualsiasi software commerciale di cui non si ha pubblicamente a disposizione il codice sorgente, rimanendo in tema di istruzione ed Università, ci tengo a precisare che molti progetti open source sono nati all’interno degli Atenei (italiani e non) proprio grazie all’esistenza di una community di programmatori libera, che mettendo a disposizione della collettività il frutto dei proprio studi e propri lavori, hanno realmente contribuito al patrimonio culturale dell’umanità: penso a progetti come Arduino, nato in Italia, a Ivrea, ormai noto in tutto il mondo come strumento per avvicinare gli studenti al mondo dei microcontrollori e della prototipazione. Lo stesso kernel Linux nasce dal lavoro di Linus Torvalds, studente finlandese che voleva migliorare Minix,  anch’esso nato da Andrew Tanenbaum, docente dell’Università di Amsterdam. Penso a progetti importanti come Asterisk, Firefox, VLC… che hanno letteralmente rivoluzionato il mondo della tecnologia e delle telecomunicazioni.

Anche il Governo Italiano, con la “Commissione per il software a codice sorgente aperto nella Pubblica Amministrazione” avviata nei primi anni 2000, effettuò indagini sul software open source, arrivando a definire, nella Direttiva Stanca successivamente recepita nel CAD – Codice dell’Amministrazione Digitale, alcune linee guida per l’acquisto di software da parte delle PA:

  • Analisi comparativa delle soluzioni: la direttiva dispone che le Pubbliche Amministrazioni acquisiscano programmi informatici sulla base di una valutazione comparativa tecnica ed economica tra le diverse soluzioni disponibili sul mercato, tenendo conto della rispondenza alle proprie esigenze;
  • Criteri tecnici di comparazione: le Pubbliche Amministrazioni nell’acquisto dei programmi informatici devono privilegiare le soluzioni che assicurino l’interoperabilità e la cooperazione applicativa tra i diversi sistemi informatici della Pubblica Amministrazione, salvo che ricorrano peculiari ed eccezionali esigenze di sicurezza e di segreto;
  • Rendere i sistemi informatici non dipendenti da un unico fornitore o da un’unica tecnologia proprietaria;
  • Garantire la disponibilità del codice sorgente per l’ispezione e la tracciabilità da parte delle Pubbliche Amministrazioni;
  • Esportare dati e documenti in più formati, di cui almeno uno di tipo aperto.

Inutile ricordare come queste linee guida sono ampiamente disattese e relegate, più che altro, alla buona volontà delle singole Amministrazioni. In assenza di obblighi stringenti, infatti, diventa molto facile aggirare la normativa per continuare a giustificare l’acquisto di prodotti proprietari.

Non ci resta, pertanto, aspettare che il Governo si adoperi a tal proposito (invece di indirizzare lettere a Zuckemberg, come ha fatto la presidente della Camera Boldrini, che peraltro esordisce in dichiarazioni che dovrebbero farci riflettere, ad esempio: “Questo dev’essere quindi per tutti il tempo della responsabilità: tanto maggiore quanto più grande è il potere di cui si dispone. E il suo è notevole.“), nella speranza che il problema del software e dei sistemi informatici venga almeno compreso per quello che è, senza dover fare marchette o stendere tappeti rossi alle multinazionali.

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