Le chat

“Per fortuna tutti i miei amici hanno uno smartphone, altrimenti quando ci si vede, si sarebbe costretti a parlarsi.”

Una volta ci si incontrava al circolo o si convocava una riunione. Adesso si parla in chat. Ma andiamo con ordine. Le chat sono praticamente sempre esistite, almeno da quando esiste Internet e anche prima. Ho iniziato a chattare all’età di 14 anni (era più o meno il 1992) attraverso una rete chiamata Fidonet. Non era una chat in tempo reale ma una specie di mailing-list, dove scrivevi un messaggio per un gruppo, lo inviavi, e dopo qualche giorno ricevevi (forse) risposta. Una chat con tempi così insegnava a riflettere nella scrittura di un messaggio: doveva essere chiaro, coinciso, così come le risposte. E certo, anche se già esistevamo le emoticons, nessuno avrebbe inviato un semplice quanto gioviale “buongiorno!!!” per ricevere svariati vaffanculo qualche giorno dopo.

Poi arrivò Internet e la chat per eccellenza, IRC (Internet Relay Chat): scarichi il client, ti colleghi, scegli un nickname, scegli una “stanza” virtuale ed inizi a chattare, in tempo reale, spesso con decine di sconosciuti. Si parlava di politica, di programmazione, di tecnologia…ma era una cosa ristretta, abbastanza da nerd. Ancora non c’erano gli smartphone e la cosa più “portatile” che esisteva erano pesantissimi pc portatili la cui batteria durava poche ore ed al massimo avevi un modem PCMCIA 56,6 KBps da dover comunque collegare ad una presa telefonica. Ma si chattava, soprattutto la sera e nelle ore notturne, quando si facevano le ore piccole davanti al PC. E i genitori, preoccupati delle nottate davanti al monitor, cercavano di capire cosa fossero queste “chat”, allarmati anche dalle prime storie di adescamenti virtuali che iniziavano ad uscire sulla stampa.

Ricordo con nostalgia anche C6, un esperimento di chat di Virgilio, che permetteva di entrare in contatto con persone sconosciute in tutta Italia attraverso la ricerca per sesso e area. Era, se non ricordo male, intorno al 2000/2001. Ed anche in questo, i genitori erano rigorosamente fuori dai giochi, non capendo cosa ci fosse di così interessante a “chattare” davanti ad uno schermo.

Alla fine, anche in Italia, esplode Internet. Ed esplode attraverso lo strumento da sempre il più amato dagli italiani: il telefonino.

All’inizio era il WAP, Wireless Application Protocol, lento, costoso. Poi arrivò il GPRS, il 2G, il 3G, il 4G. E telefoni sempre più smart…phone, con schermi sempre più grandi, colorati, potenti. E con essi la killer application, Whatsapp. Sembra incredibile, ma ci sono persone che usano Whatsapp senza neanche sapere cosa sia Internet !

Perché la chat, a differenza della telefonata, non ha tariffazione al minuto. Non disturbi l’altro mentre, magari, sta guardando la TV o sta mangiando. Il massimo del disturbo è un blip blip dallo smartphone, che nelle aree affollate si trasforma in una cacofonia di suoni indistinguibili. E poi, puoi scrivere a più persone in contemporanea, nei famigerati gruppi. E così spunta il gruppo delle mamme (quasi solo pettegolezzi), dei babbi (quasi solo porno), delle amiche (idem, pettegolezzi), degli amici (idem, porno), dei colleghi, del gruppo sportivo etc etc etc… ed ormai la nostra esistenza sociale è scandita dalla notifica o dalla vibrazione dello smartphone, che confermano il nostro ego sul fatto che qualcuno mi considera.

La chat, inoltre, è trasversale: da 6 a 96 anni, forse di più. Basta uno smartphone anche basilare per guardare la foto del nipotino mandata su Whatsapp, o fare una videochat mentre si è in vacanza, per far schiattare di rabbia parenti amici e colleghi.

Tutti a testa bassa, quindi, fissando il monitor luminoso dello smartphone mentre camminiamo, urtandoci a vicenda. O mentre si guida, provocando ben 2 incidenti su 3. E poi l’ansia da risposta. Con quella doppia spunta in attesa di diventare da grigia a blu e la notifica “sta digitando…” in alto, a conferma che qualcuno in chat è vivo. Perché ormai la noia si ammazza in chat: in coda alla cassa, in fila alla posta o al semaforo, durante la pausa caffè o al ristorante, mentre aspettiamo il cameriere.

E addirittura c’è chi si chatta nel gruppo di famiglia “a tavolaaaa !! il pranzo è pronto“.

La realtà ormai è ciò che accade mentre chattiamo, e ciò provoca stress, ansia da prestazione, disturbi e paranoie.

Certe volte la soluzione è vicina, molto vicina, come il pulsante “Lascia il gruppo“: «Ho lasciato la chat dei genitori E sono tornato un uomo felice» 

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1 comment
  1. Bello il tuo articolo, tra ironia e realtà segni molto bene un uso errato dei messenger, che vengono usati e chiamati chat, ma chat vere sono appunto IRC o quelle comunque con interfaccia web. Differenzio le categorie perché anche se le schermate possono sembrare simili, diverso è il loro funzionamento… in una entri ed incontri estranei collegati da ogni dove, l’altro implica che tu conosca già con cui ti messaggi.
    Le chat vere (permettimi di chiamarle così) servivano e servirebbero a conoscere nuove persone soprattutto per chi si trasferisce e non conosce nessuno, o chi tra timidezze ed insicurezze varie ha bisogno di tempi più dilatati e rassicuranti per farsi conoscere.
    Il non senso è usare le chat per tirare su contatti da portare nei messenger essi siano facebook chat, WhatsApp, skype, ecc., e protrarre all’infinito i rapporti solo ed unicamente a colpi di like e messaggini striminziti.
    Amo le chat come strumento di comunicazione, come tramite per la realtà, ed il problema è il non saper più comunicare a prescindere da quale software usi o la situazione che stai vivendo.
    Se vai al bar, in una sala d’attesa, una cena con amici, i discorsi sono sempre quelli e girano intorno alle banalità con cui vieni bombardato dai media, il lavoro… insomma un discorso per mille occasioni da cui difficile svincolarsi.
    La gente usa le chat perché sola ed alimenta la propria solitudine mettendo barriere e limiti che non ci sono; a farne le spese è proprio la povera chat che viene umanizzata e demonizzata da chi la usa (male) quotidianamente.

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