L’illusione che fosse gratis ha decretato il successo, e potrebbe oggi ammazzare, la Rete

“Nulla è gratuito in questo basso mondo.
Tutto si sconta, il bene come il male, presto o tardi si paga. Il bene è necessariamente molto più caro.”

Louis-Ferdinand Céline

La straordinaria libertà che offre la Rete ha sempre dato l’illusione che Internet fosse il Regno del Gratis.

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Poco importa se chi ha creato questo bene, seppur fisicamente intangibile (un mucchietto di elettroni da qualche parte), in realtà ha impegnato tempo, soldi, fatica. L’idea che ha reso Internet così popolare è che tutti i beni digitali che vi trovi sono gratis. Al di là delle ovvie ripercussioni economiche ma anche legali (scaricare un libro o guardare un film protetto da copyright senza pagarne i relativi diritti è un reato !), questa idea ha non solo favorito la diffusione planetaria della Rete ma ha contribuito a rompere dei monopoli che sembravano indistruttibili. Il primo, almeno dopo l’avvento della Generazione Napster, è stato proprio quello della musica. Seguito, con l’ampliamento della banda e l’aumento delle velocità, da quello dei video e dei film. Tanto che lo stesso mercato dell’home entertainment, prima appannaggio quasi esclusivo dei VHS e delle catene come Blockbuster, è stato totalmente soppiantato da servizi in streaming on-line come Netflix e Amazon Prime. Che non sono gratis, sia chiaro, ma offrono al cliente una sterminata scelta di film, serie tv, cartoni ad una fee mensile decisamente più bassa del costo di noleggio degli ormai obsoleti VHS o del biglietto per il cinema. E’ stato, questo, l’effetto forse più tangibile di una illegalità talmente diffusa e talmente accettata (talvolta addirittura ignorata: “davvero è illegale ?“), come quella della violazione dei copyright, che per un lungo periodo la vendita di CD e DVD “tarocchi” si svolgeva tranquillamente ai caselli autostradali e sulle spiagge italiane.

Il fenomeno non ha riguardato solamente musica e film ma anche il software: c’è addirittura chi sostiene che il grande successo di MS Windows sia dovuto alla possibilità di poterlo “piratare” senza grossi problemi, tanto da favorirne la diffusione in tutto il pianeta. Una sorta di gigantesco lock-in popolare e volontario che, inconsapevolmente, è stato probabilmente il più grande veicolo pubblicitario del sistema operativo di casa Microsoft. Tanto per dare qualche dato, una ricerca del 2010 sentenziò che in Italia su circa il 50% dei PC era installato software pirata…

Tuttavia, come è facile immaginare, la potenziale perdita di miliardi di dollari di mancati ricavi ha provocato la reazione delle grandi major. Associazioni come la BSA –Business Software Alliance– sono la reazione delle grandi corporations al fenomeno ormai fuori controllo del mercato pirata.

L’azione di lobbying ha portato, negli anni, alla promulgazione di normative più o meno severe, più o meno efficaci, nella lotta a questo fenomeno, che non accenna –sia chiaro– a rallentare. Ma tra i rischi che si profilano all’orizzonte, oltre ovviamente all’enorme danno economico che, in qualche modo, danneggia anche la qualità e la quantità della produzione culturale, è l’utilizzo di software pirata per diffondere malware, spyware, RATs e fare mining sfruttando i PC, inconsapevoli, degli utenti: sono moltissimi i caso di software contraffatto (le stime parlano di un buon 33%…) che veicola, al suo interno, software malevolo.

Ed è proprio il software malevolo installato inconsapevolmente su milioni di sistemi informatici a scatenare le guerre cybernetiche e mediatiche di cui sentiamo sempre più parlare, a cui si unisce ovviamente lo spionaggio sia industriale che politico. Eserciti di zombie pronti a scatenare imponenti attacchi DDOS, proxy anonimi, nodi TOR, relayer… l’armamentario della guerra cybernetica è variegato ed in continua evoluzione. E non sono un fenomeno “del Web”, come qualche ignorante vorrebbe minimizzare: sulla Rete ormai si veicolano dati bancari, finanziari, medici. Si controllano e monitorizzano grandi navi cargo, centrali nucleari, impianti di potabilizzazione etc etc etc… il nostro mondo fisico è ormai strettamente interconnesso con quello digitale !

Le reazioni del legislatore a questi pericoli, tuttavia, non sempre sono adeguate. Ricordiamo tutti le norme “ammazzaweb” proposte in più fasi, spesso a ridosso di situazioni eclatanti, da zelanti parlamentari italiani. Norme stoppate, fortunatamente, prima della loro applicazione. Ma proprio in questi giorni sta nascendo un forte dibattito sul controverso articolo 13 della nuova direttiva europea sul Copyright: una norma che obbligherebbe tutti i fornitori di servizi a verificare che i files ospitati sui propri sistemi non violino alcun copyright. Una lettera sottoscritta da personalità molto note ed influenti del Web indirizzata al Presidente del Parlamento Europeo, Antonio Tajani, dichiara in modo esplicito che

By requiring Internet platforms to perform automatic filtering all of the content that their users upload, Article 13 takes an unprecedented step towards the transformation of the Internet from an open platform for sharing and innovation, into a tool for the automated surveillance and control of its users.

Ancora una volta, per porre un freno al dilagare dell’illegalità in Rete, si impone ai gestori di avere il pieno controllo di ciò che viene ospitato sui loro sistemi. Muore, di fatto, tutto il collaborative che ha, proprio attraverso la Rete, favorito la nascita, la crescita e la maturità di tantissimo software, soprattutto quello open source. Penso a piattaforme come Github, che per qualche foto protetta da copyright ed ingenuamente pushata da qualche utente, potrebbe subire pesanti sanzioni se non proprio chiudere, portando con sé milioni di righe di codice libero. O la stessa Wikipedia, così come tutti i provider di posta elettronica ed hosting, sia gratis che non.

Insomma, anche l’Unione Europea non sembra immune al violento vento di repressione che soffia da anni nei confronti della Rete e della sua atavica anarchia e libertà. Una libertà che se da un lato è un rischio, anche importante, dall’altro pone alla società una sfida che i governanti, a tutti i livelli, dovrebbero imparare ad accettare: la sfida della maturità e della consapevolezza.

 

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