La cosiddetta “movida“, termine di tendenza per definire la voglia di divertimento notturno di giovani e meno giovani, è un fenomeno spontaneo che nasce spesso senza precisi motivi in una certa zona della nostra città.
Città che, è bene sottolinearlo, non ha mai brillato particolarmente per vita notturna: la movida è sempre stata circoscritta a certe zone. Un fenomeno che muta con il cambiare delle generazioni, dei locali, delle mode: adesso va di moda Via di Pantaneto, dove negli ultimi anni si è verificata una forte riqualificazione della zona, grazie soprattutto all’apertura di nuovi locali.
Gli abitanti della zona, inutile sottolinearlo, non sono affatto contenti. O, quantomeno, reclamano il loro diritto al riposo notturno, reso impossibile dagli schiamazzi degli avventori dei locali. Senza considerare gli “effetti” della movida visibili solo la mattina dopo, con le testimonianze degli avvenuti bisogni fisiologici lasciati un po’ ovunque, insieme a spazzatura e bottiglie rotte.
Una situazione di degrado che più volte è sfociata in proteste, che hanno visto contrapporti i residenti ai proprietari dei locali. Entrambi con le proprie legittime, ma contrastanti, ragioni: riposare da un lato, guadagnare dall’altro. Situazioni simili si sono verificate, è bene ricordarlo, anche in altre zone della città. L’ultimo a cadere –chiudendo– è stato Un Tubo, in Via del Luparello, che è stato protagonista di una pesante diatriba con alcuni residenti. Ricordo bene una situazione analoga anche per il Pub L’Officina, in Piazza del Sale, qualche anno fa. E anch’esso si è trovato a dover chiudere.
La questione non è certo di facile soluzione, complice soprattutto un regolamento vecchio di 10 anni che l’Amministrazione Comunale ha provato ad aggiornare, approvando proprio ieri il “Regolamento per l’effettuazione dei pubblici spettacoli, trattenimenti e manifestazioni temporanee“.
Un regolamento che, come ho detto durante la seduta consiliare, chiarisce finalmente obblighi e doveri degli esercenti alla luce anche delle ultime normative e che contribuisce a mettere ordine nella giungla di leggi, norme e regolamenti in vigore.
Tuttavia, almeno sul fronte del controllo e della prevenzione sui problemi descritti precedentemente, ritengo questo Regolamento una vera e propria “resa” dell’Amministrazione, che conferma la propria incapacità di presidiare il territorio con le uniche figure preposte a farlo -gli Agenti di Polizia Municipale- e delega all’esercente il dover (cito all’art. 4), “a porre in essere anche all’esterno dei propri locali tutte le cautele possibili per scoraggiare schiamazzi, rumori e comportamenti che possano creare disturbo alla quiete pubblica e alla tranquillità delle persone.”.
Sembra incredibile che una simile frase possa essere contenuta in un Regolamento che, di fatto, è un atto pubblico. Incredibile perché, soprattutto per i locali che si affacciano sulla pubblica via, come può l’esercente dover attuare quanto chiesto ? Certo, pur con tutto il buonsenso possibile che un esercente può avere nel sensibilizzare i propri avventori a limitare gli schiamazzi, come è possibile evitare che accadano ? E quando parla di “esterno dei propri locali“, a quale area si riferisce ? 5, 10, 100 metri o tutto il Comune ? Un regolamento pubblico deve contenere norme ed indicazioni precise, rispettando i ruoli e le normative. La pubblica sicurezza è competenza degli agenti di polizia, non dell’esercente. E deve essere l’Amministrazione comunale ad attuare tutte quelle azioni necessarie a garantire il presidio del territorio ed eventuali anche azioni sanzionatorie nei confronti di chi non rispetta le norme del quieto vivere.
Su tale problema, peraltro, si è recentemente espressa la Cassazione che, con la sentenza 9633 del marzo 2015, ha affermato che “laddove il gestore di un locale apponga dei cartelli per invitare i clienti a evitare di causare rumori molesti, è da escludersi la sua responsabilità per gli eventuali schiamazzi fatti dagli stessi all’esterno del locale“, sottolineando anche che “il gestore non ha alcun potere per impedire gli schiamazzi sulla pubblica via, essendo sfornito di qualsiasi potere coercitivo in caso di rifiuto“ (Cassazione n. 37196 del 2014).
Certo, la Cassazione conferma anche che, in via generale, il titolare di un pubblico esercizio ha il dovere di impedire condotte che disturbino il risposo delle persone e di impedire gli schiamazzi degli avventori, ma non può in alcun modo sostituirsi al ruolo ed ai poteri propri degli agenti di polizia.
C’è poi la questione degli orari di stop alla musica indicati: ore 00:00 per i giorni feriali, 01:00 per festivi e pre-festivi. Come ho sottolineato, definire fasce orarie così nette per l’intero territorio comunale, senza effettuare alcun tipo di zonizzazione (il centro storico è più sensibile al rumore, mentre locali in periferia lontano dalle abitazioni potrebbero beneficiare anche di orari più flessibili), è limitante. Inoltre si impedisce, ancora una volta, il favorire la creazione di zone ad-hoc dove concentrare la movida, come avviene in molte città d’europa. Zone dove si concentra la vita notturna e dove i residenti ne sono ben consapevoli, accettandone anche il rumore. Per Siena, ad esempio, attendiamo tutti con ansia la riqualificazione della Fortezza Medicea che, lontano dalle abitazioni, potrebbe diventare il cuore pulsante della vita notturna, conciliando così le esigenze di giovani e cittadini.
Per concludere, il sospetto è che l’obiettivo principale di tale Regolamento sia destinato miseramente a fallire. Staremo a vedere cosa accadrà successivamente alla sua entrata in vigore. L’impressione, però, è che cambierà (in meglio) ben poco.