Pensieri a sproposito durante una sovversiva passeggiata in città

Di questi tempi anche una passeggiata in centro a Siena assume il dolce sapore di un atto di ribellione. Un atto sovversivo, in risposta a DPCM pieni di norme contraddittorie, che sembrano più frutto di faticose contrattazioni con quella o quell’altra lobby che dettati da logiche di buonsenso.

Avrei potuto trovare millemila scusanti per essere in centro città ma la realtà è una e una sola: avevo voglia di prendere una boccata d’aria, fare una passeggiata spensierata in mezzo ad altra gente, senza preoccupazioni, come facevamo prima dell’Era Covid. Una boccata di libertà, e scusatemi se ho “osato” tanto.

In centro, a Siena, era pieno di gente. Adolescenti, famiglie, anziani. Tutti con la mascherina regolarmente indossata. Sembrava un sabato pomeriggio normale, senza la cappa angosciante delle sfumature di colore politicamente indotte. Certe volte, per conservare la sanità mentale messa a dura prova ormai da oltre un anno di pesanti limitazioni, è necessario anche questo. Anche evadere, o quantomeno darsi l’illusione di farlo.

Se penso che fino a qualche anno fa gli unici che vedevamo con le mascherine davanti al volto erano i “raffreddati” dei gruppi di turisti asiatici! Un gesto di buonsenso, dettato da una banale forma di rispetto per l’altro, che si ritrova in alcune culture in oriente. E che, forse, ormai diventerà la consuetudine anche per la nostra società occidentale.

La voglia di normalità, ammesso che una normalità esista, è forte: l’aperitivo, il gelato, la pizza. E poi lo shopping o la semplice passeggiata sulle lastre. Davvero possiamo condannare tutto questo? Davvero abbiamo potuto mettere alla gogna, con elicottero e telecamere in diretta dalla D’Urso, chi voleva solamente farsi una solitaria passeggiata? Davvero abbiamo assistito a mesi di condanne a mezzo social per chi usciva a correre, in solitudine, o a fare un giro in bici? O a spendere preziosi soldi pubblici per far volare droni intenti a beccare chi grigliava in giardino?

Un giorno, forse neanche troppo lontano, guarderemo indietro a questi ultimi mesi. Ci chiederemo se davvero è stata tutta colpa del virus e della paura, mediaticamente stimolata dalla quotidiana conta delle vittime e dei positivi a reti unificate. Oppure se abbiamo lasciato che il lato oscuro della società prendesse il sopravvento, trasformandoci in un esercito d’invidiosi e frustrati delatori pronti a denunciare il vicino che osava affacciarsi alla finestra troppo a lungo.

Il ricordo del primo lockdown è ancora troppo vivo. Così come le continue promesse di un “ritorno alla normalità” (quale, esattamente?) prontamente smentite dai fatti. E poi il “valzer dei colori”, le cento sfumature di rosso, comunicativamente molto efficace per un popolo che –lo dicono le statistiche– è tra i meno acculturati (e più creduloni) d’Europa, pronto a lanciarsi sui social a dispensare soluzioni per la pandemia come se dovesse commentare l’ultimo derby calcistico.

Ok, forse sto esagerando. Ma a cosa serve avere un blog se non posso neanche sfogarmici, ogni tanto? Del resto, libertà è anche questa: poter dire ciò che penso. Così come uscire a fare una passeggiata. Atti di una banalità sconcertante, che però lasciano in bocca il dolce sapore di sentirsi vivi.

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