Piano Triennale per l’informatica nella Pubblica Amministrazione 2020-2022

Nell’elaborare una strategia è importante riuscire a vedere le cose che sono ancora distanti come se fossero vicine ed avere una visione distaccata delle cose che, invece, sono più prossime.”
Miyamoto Musashi

Pubblicato il Piano Triennale per l’Informatica nella PA per gli anni 2020-2022. Considerando che ormai gran parte degli apparati burocratici della PA sono basati su sistemi informatici, credo si possa considerare questo documento come la pianificazione strategica per il futuro del nostro Paese.

Già nei principi guida evidenziati nel documento di più di 80 pagine, si può comprendere l’impatto innovativo che questo Piano Triennale vorrebbe avere.

Si parla non tanto e non solo di questioni tecniche quanto proprio metodologiche e organizzative, come ad esempio l’obiettivo di portare, entro il 2022, ben 250 “amministrazioni che rilasciano software open source in Developers Italia e di almeno 400 soggetti che riusano software open source presente in Developers Italia“: in un Paese dove l’open source è ancora ben poco considerato e utilizzato (a differenza di altri Paesi Europei, come la Francia), l’obiettivo indicato è estremamente coraggioso. Mi auguro, tuttavia, che il risultato sia raggiunto!

Evidente poi la volontà di lavorare sul c.d. “perimetro cibernetico“, offrendo alle PA servizi come il Web Analytics per i propri siti web: moltissimi siti web di amministrazioni pubbliche, ancora oggi, utilizzano Google Analytics regalando –letteralmente!– i dati sui loro visitatori alla multinazionale californiana. Evidentemente, e finalmente, l’esigenza di ridurre l’export dei dati dei cittadini italiani inizia ad essere sentita (che si unisce alla recentissima sentenza della Corte Europea sull’invalidazione del Privacy Shield, di cui parleremo nei prossimi giorni).

Apprezzabile l’obiettivo di puntare sull’uso di SPIDSistema Pubblico di Identità Digitale come sistema per autenticazione privilegiato: troppe le compromissioni dei sistemi dovuti a password deboli, meccanismi insicuri o decisamente obsoleti.

Interessante anche l’aver evidenziato, ancora una volta, come i dati pubblici siano un bene comune -“il patrimonio informativo della pubblica amministrazione è un bene fondamentale per lo sviluppo del Paese e deve essere valorizzato e reso disponibile ai cittadini e alle imprese, in forma aperta e interoperabile“- ribadendo anche che, come già previsto dalla normativa, vige il principio dell’once only: “le pubbliche amministrazioni devono evitare di chiedere ai cittadini e alle imprese informazioni già fornite“.

Su quest’ultimo punto credo saranno necessari moltissimi sforzi da parte delle figure preposte (Responsabili della Transizione al Digitale?) che, insieme al DPO e al Titolare, dovranno rivedere molti moduli e procedure, complesse e inutilmente piene di burocrazia, che i cittadini devono espletare per ottenere servizi dalla PA.

Anche sul fronte dei pagamenti sarà chiesta una forte spinta ad adottare PagoPA, “la piattaforma digitale che consente ai cittadini di pagare in modo più naturale, veloce e moderno e che solleva le amministrazioni dai costi e dai ritardi dei metodi di incasso tradizionali”.

Nutro tuttavia alcuni dubbi su tutta la strategia di muovere i data center verso soluzioni Cloud, puntando su SaaS (Software as a Service) e IaaS (Infrastructure as a Service). Non tanto per i piccoli e piccolissimi data center disseminati negli sgabuzzini di Enti e (piccole) Amministrazioni (parliamo di 1.101 data center gruppo B di 741 PAL, censiti da AGID per 33.948 CPU, 1.993 TB RAM, 107 PB Storage) spesso non adeguatamente mantenuti e pieni di vulnerabilità e software obsoleti, quanto per gli Enti di ricerca o più complessi, come le Università, che difficilmente potranno immaginare di migrare le loro infrastrutture di tipo “B” sul Cloud.

Ampio risalto ai servizi digitali per i cittadini, dal Fascicolo Sanitario Elettronico a SIOPE+, passando per ANPR –Anagrafe Nazionale Popolazione Residente-: è incredibile pensare che ancora oggi, nel 2020, non esiste una anagrafe nazionale unica e che, anche per gli aspetti sanitari, i dati dei cittadini sono sparpagliati in vari servizi e data centers spesso non dialoganti tra loro.

Tra i vari appuntamenti che attendo con vivo interesse c’è quello previsto per Dicembre 2020, quando sarò rilasciato “un documento di guida allo sviluppo e gestione di software secondo il modello open source – (Dipartimento per la Trasformazione Digitale) – CAP1.LA02“. Potrebbe rappresentare una pietra miliare nel funzionamento della PA italiana, innescando una rivoluzione che potrebbe, potenzialmente, essere in grado di produrre ampi benefici per tutta la collettività. Ovviamente sempre se gli addetti ai lavori sapranno coglierne le opportunità.

Per finire, vedremo se la strategia di non definire sanzioni ma incentivi sarà vincente oppure no. Quello che è certo, però, è il bisogno di innovazione della PA italiana. Non solo tecnologica.

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