Politica e social: 6 regole su cosa fare e cosa non fare

“La storia italiana non ha mai avuto così tanti rivoluzionari da quando c’è Facebook. Ho visto gente inferocita giustiziare despoti, autocrati e miserabili anche con tre punti esclamativi.”
Giancarlo Buonofiglio

Ho un po’ trascurato il blog, in questi ultimi giorni. La campagna elettorale assorbe quasi tutto il mio tempo libero residuo e cerco di promuovermi utilizzando al massimo i canali social, che al momento sembrano l’unico non-luogo attraverso il quale riuscire ad arrivare a più elettori possibile.

Anche se il contesto è cambiato, a causa dai cambiamenti sociali indotti anche dal CoVID19, le esigenze elettorali sono sempre le stesse: convincere gli elettori a dare il loro voto.

Prima di Internet, prima dei social, si arrivava all’elettorato attraverso i media tradizionali: TV, stampa, volantini e manifesti. E la normativa della propaganda elettorale è ancora rimasta a questo mondo, mentre intorno il contesto cambiava.

Anche i politici, o aspiranti tali (candidati), si sono adattati al nuovo contesto, aprendo profili e pagine su Facebook (qualcuno, più intraprendente, anche su Twitter), dove propagandare le sue azioni e intenzioni, in modo più o meno efficace.

Regola 1: non bannare

A qualcuno potrebbe non piacere una delle principali caratteristiche dei social: il ricevere commenti. Che rischiano di non essere particolarmente graditi, soprattutto quando iniziano ad arrivare le prime critiche (l’immagine è tutto!). Ed ecco che, talvolta, scatta l’azione più stupida e sconsigliata in assoluto: il ban.

  • bannare” (italianizzazione di “to ban“, bandire) un utente da solo una falsa sensazione di sollievo: il bannato può sempre creare un secondo, un terzo, un quarto profilo… con il cui accedere ai contenuti;
  • il “ban” è un atto che impedisce a entrambi di vedere cosa accade nel profilo dell’altro;
  • il “ban” è un pessimo biglietto da visita per un candidato o un esponente politico: il confronto è il sale della politica e della democrazia. Accettare le critiche, anche quelle più dure, è indice di maturità: bisogna imparare a gestire il dissenso, non a nasconderlo sotto il tappeto;

Regola 2: gestire il dissenso

Una delle cose che ho imparato da quando ho iniziato a impegnarmi in politica è che ci sarà sempre qualcuno che ti critica. Che sia per un posto in consiglio comunale o al parlamento Europeo, arriverà sempre qualcuno che vorrà buttarla in caciara con insulti e offese, più o meno velati.

La critica, se costruttiva e comunque indirizzata a costruire un confronto, è ben accetta e tutti gli aspiranti politici dovrebbero farne tesoro. Contro le offese e gli insulti, oltre a non essere meritevoli di seguito (“don’t feed the troll!”), se qualcuno esagera possiamo eventualmente rivolgersi alle autorità e sporgere denuncia.

Un errore da non fare è rispondere in modo stizzito oppure ribattendo agli insulti con altri insulti. La gentilezza e la pacatezza, anche davanti all’arroganza, pagano sempre. Capisco che non è sempre facile (lo dice uno dal carattere impulsivo) ma bisogna cercare di mantenere la calma e reagire, se opportuno, con calma e sobrietà.

Su come gestire il tutto e imparare anche a comunicare, credo che i libri di Dale Carnegie possano essere un ottimo inizio.

Regola 3: costruirsi un seguito

Se dietro a ogni profilo c’è una persona in carne e ossa, che vota, l’uso dello strumento sociale finalizzato al consenso elettorale non può prescindere dal doversi costruire un gruppo di followers.

Se, come dicono alcuni, avere tanti like su Facebook è come essere ricchi a Monopoly, è anche vero che l’assenza di feedback può dare un duro colpo alla propria autostima. Anche avere pochi follower è indice di scarsa popolarità, che per un esponente politico può rappresentare un problema in merito alle opportunità di essere eletto o ri-eletto.

Per ovviare ci sono essenzialmente due modi, uno corretto e l’altro no. Quello corretto è iniziare a lavorare producendo contenuti interessanti, nella speranza di attirare potenziali elettori. Eventualmente, affidarsi a un social media manager può aiutare a costruire una strategia per aumentare la propria popolarità.

Il modo meno corretto è comprare i follower. Può sembrare difficile ma, in realtà, ci sono aziende -in particolare in Paesi dalle economie emergenti- che fanno anche questo a cifre neanche troppo esagerate. Chiaramente si tratta di utenti fittizzi, che non generano feedback o altro.

Chiaramente puntare a follower reali è la strategia giusta per incrementare la propria popolarità: gli utenti rispondono, discutono, litigano …aumentando il ranking dei post e attirando altri utenti!

Su come crescere in popolarità ci sono fior di professionisti, ad esempio Riccardo Scandellari (@skande), che vi consiglio di seguire.

Regola 4: Pagina, non profilo

Questa è forse la regola più difficile da mettere in pratica. Ogni aspirante politico dovrebbe avere la propria pagina Facebook ufficiale (Twitter funziona in modo diverso) dove far convergere i supporters, e usare solo questa per la propaganda politica.

A differenza dei profili personali, infatti, le Pagine non hanno il limite dei 5000 “amici” e tutto ciò che un supporter deve fare per restare in contatto è pigiare il “Mi Piace!“. Bene partire subito con una pagina, per non trovarsi a impazzire nel tentativo posticcio di dover “travasare” i follower. Le pagine, inoltre, hanno delle funzioni specifiche per attirare nuovi utenti: investite del tempo a capire come funzionano, ne vale la pena!

Per finire, questo permette anche di mantenere separata la comunicazione più personale da quella istituzionale.

Regola 5: la vita reale è là fuori

La vita reale è fuori dai social, fuori dalla Rete. Se aspirate a fare politica, ricordatevi che i cittadini vivono (ancora, e speriamo ancora per molto) soprattutto nel mondo reale.

La Rete, come i social, sono solo strumenti. Che possono essere usati bene o male. Di per sé, sono solamente contenitori vuoti con funzione di aggregazione sociale (ma soprattutto di catalizzatori della nostra attenzione, per poi rivenderla).

Usate lo strumento, non cadeteci dentro. Usatelo per creare consenso, stimolare il dibattito e il confronto, catalizzare le energie attorno a un obiettivo concreto. Una delle esperienze forse più belle del mio attivismo politico negli ultimi anni è stata riuscire a portare decine di genitori a ripulire un parco pubblico vicino casa mia: iniziativa nata e cresciuta sui social, a dimostrazione di come lo strumento possa essere usato anche in modo utile per la collettività.

Sul tema, suggerisco la lettura del grande classico di Clay Shirky, Here comes Everybody (lo trovate anche in italiano).

Regola 6: la Rete non dimentica

Se non siete particolarmente popolari, potete anche permettervi il lusso di cancellare o rimuovere un post o un tweet (purché lo facciate in fretta!) nella speranza che nessuno lo abbia notato (“screenshottato“).

Altrimenti, meglio provare a rettificare con ironia (“il mio ghostwriter si è arrabbiato“) che cercare di mettere una pezza posticcia a un errore.

Ammettere di aver sbagliato, inoltre, è segno d’intelligenza e umiltà: caratteristiche che, al netto dei soliti troll e polemiconi, sono molto apprezzate.

Per quanto legalmente uno screenshot valga ben poco in una aula di tribunale (a meno che non venga realizzato con tutti i crismi), è una delle armi di offesa più usate sui social. C’è addirittura chi si dedica a questa attività di dossieraggio, raccogliendo migliaia di screenshot per poterli usare al momento opportuno!

Quindi, prima di premere su INVIO, riflettere bene alle potenziali conseguenze del messaggio che state per pubblicare urbi et orbi: non se ne andrà mai più.

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