Si assumono giovani

Così titolava stamani la civetta di un quotidiano locale.

E’ sempre il solito mantra, immancabile anche nei dibattiti politici: “serve lavoro, lavoro per i giovani“.

I “giovani“. Ma chi sono questi “giovani” ? Fino a quale età si è considerati “giovani” ? E come vengono assunti questi “giovani ” ?

Contratti da precari, apprendistato, liberi professionisti… sono questi i “posti di lavoro” che l’Italia offre ai “giovani” ? Senza contare quelli che cercano solo persone “con esperienza”, magari anche solo per fare le pulizie…

Beh, certo, “devi fare la gavetta” ci si sente spesso ripetere. Ma fino a quando ? Quando finisce l’età della gavetta ?

L’Italia non è un Paese per giovani, anche perché si tutelano i diritti acquisiti dei vecchi caricandoli sulle spalle dei giovani (come le tante pensioni calcolate con il metodo retributivo), generando un sistema non sostenibile.

Certo, non esiste solo il lavoro dipendente: si può anche tentare la strada della libera professione. A patto di godere di buona salute e non pretendere diritti in caso di malattia, come ben dimostra la storia di Daniela su “I liberi professionisti che si ammalano di cancro non hanno tutele“. Stessa cosa, ovviamente, per le donne imprenditrici che decidono di diventare madri.

C’è anche chi ce la fa, ovviamente, ma spesso sono figli di persone facoltose o con rendite fisse, che possono anche permettersi di non lavorare costantemente per arrivare a fine mese. Sono i figli dei baby boomers, la generazione nata a cavallo degli anni ’60 che ha beneficiato di un forte periodo di crescita: chi è stato capace di agganciarla adesso gode di quelle rendite che hanno permesso al nostro Paese di non crollare sotto il peso dell’enorme debito pubblico accumulato negli anni, attraverso prelievi costanti alla ricchezza privata (Il Sole24Ore):

Dunque, in Italia la ricchezza finanziaria privata (senza considerare quella immobiliare che da noi è enorme) controbilancia meglio il debito pubblico estero di quanto non succeda in Germania e Francia.

Questo vale per molti, non per tutti. Ci sono giovani che devono lottare per strappare contratti precari o a tempo determinato per 1000€ al mese, magari dopo aver conseguito lauree e master (e talvolta a doversene pure vergognare). Senza certezze, senza futuro, additati come “bamboccioni” o “choosy” (pretenziosi) che vivono dai genitori per non voler accettare lavori umili. Tutte balle, tutte scuse di una generazione di anziani che si è divorata il futuro di questo Paese attraverso privilegi, vitalizi, “diritti acquisiti” e che oggi non capisce di essere la responsabile del declino.

La scala sociale è ferma agli anni ’80, quando ancora un figlio di contadini poteva diventare qualcuno. Oggi, al massimo, si può essere figli laureati, disoccupati o precari, di contadini: noi nati in quegli anni saremo la prima generazione che starà peggio dei propri genitori.

E mentre il Paese trattiene il respiro, sempre sull’orlo del baratro, i “giovani” invecchiano. E nessuno sa dirti a quale età non si è più “giovani”, da quando anche l’ultima speranza svanisce e non rimane altra scelta se non quella di fuggire via.

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