TL;DR Una petizione online promossa da un signore spagnolo di 78 anni, che ha raccolto in breve tempo oltre 600.000 firme, è lo spunto per sollevare il problema di una digitalizzazione che non sempre rispetta le esigenze dei cittadini.
Ha raggiungo in pochi mesi oltre 600.000 firme la petizione online (sic!) SoyMayorNOidiota, proposta dal 78enne spagnolo Carlos San Juan De Laorden. Una proposta che, pur puntando il dito sulla chiusura degli sportelli bancari, solleva un tema più ampio che dovrebbe farci riflette, tutti, su alcuni aspetti critici della digitalizzazione, anche nel nostro Paese.
“Ho quasi 80 anni e mi rattrista molto vedere che le banche hanno dimenticato le persone anziane come me. Adesso quasi tutto è online… e non tutti ci capiamo con le macchine. Non meritiamo questa esclusione. Ecco perché chiedo un trattamento più umano presso le filiali bancarie.” si legge nelle prime righe della petizione, stigmatizzando come un servizio essenziale come quello bancario stia, di fatto, tagliando fuori dai suoi servizi quei cittadini che non riescono ad avere dimestichezza con gli strumenti digitali.
“Ogni giorno è sempre più complicato ritirare o depositare soldi. Non smettono di chiudere le filiali, alcuni sportelli automatici sono complicati da usare, altri si rompono e nessuno risolve i tuoi problemi, ci sono procedure che si possono fare solo online. Nei pochi posti dove c’è lo sportello spesso bisogna prendere appuntamento (attraverso un’applicazione) e gli orari sono molto limitati. La banca è diventata eccessivamente informatizzata. Depositare denaro, prelevarlo o pagare una bolletta ora richiede, di fatto, che il cliente faccia il lavoro degli impiegati che non ci sono più”
Non è (solo) un problema di età anagrafica, e ci tengo a sottolinearlo, quanto di una tendenza spinta alla digitalizzazione in modo talvolta esasperato e inutilmente farraginoso, all’insegna del mantra “digital first” che nasconde, probabilmente, anche la necessità di contenere costi non più sopportabili.
Così le nuove tecnologie, tra “app” e “portali“, si stanno sostituendo agli impiegati e agli sportelli, azzerando le relazioni umane (fatte anche di cortesia e disponibilità). Così come gli smartphone e le carte di plastica, di credito o di debito, si stanno sostituendo al contante (rendendo tracciabile e controllabile ogni nostra spesa). Rappresentano erosioni della nostra libertà, sia perché ci impongono di dover stare al passo con l’evoluzione tecnologica di questi apparati (moltissime di queste “app” funzionano solo su device di ultima generazione) che per la necessità d’investire tempo nell’imparare a usarle.
“Ok, è però comodo poter fare un bonifico dal divano a mezzanotte di venerdì“.
L’evoluzione tecnologica non è sempre negativa e offre, ovviamente, anche dei vantaggi. A patto, ovviamente, di saperla usare. Oltre ad avere a disposizione una tecnologia progettata correttamente e in modo semplice e amichevole.
Mi viene in mente un testo di Steve Krug, “Don’t make me think”, che campeggia da anni nella mia libreria personale. Un libro che trovai illuminante, poiché mi introdusse al tema dell’usabilità e di come sia necessario, per chi sviluppa interfacce utente, essere il più possibile friendly.
Per quanto essere friendly sia, indubbiamente, un requisito importante, questo non esime a combattere per ridurre il divario digitale tra chi ha, può e conosce e chi, invece, non ha, non può e/o non conosce. Siamo in una società in cui l’emergenza analfabetismo è soprattutto digitale, poiché taglia fuori da una serie di servizi ampie fasce di popolazione, soprattutto quelle economicamente e culturalmente più deboli.
Difficoltà che sono anche per chi, invece, il mondo digitale lo capisce e lo comprende, alle prese –spesso e volentieri, soprattutto nella PA– con aberranti “trasposizioni” dal cartaceo, senza ripensare i processi e procedure in chiave digitale. Il risultato sono i frequenti “scarichi il modulo in PDF, lo stampi, lo firmi, lo scannerizzi e me lo rimandi via mail” quando, magari, sarebbe sufficiente un banale form su una pagina web.
Sono poi da considerare anche le questioni relative alla sicurezza informatica, che come ben sa chi se ne occupa, si basa anche sulla sicurezza dei processi. Processi digitali spesso traslati, come abbiamo già detto, dalle vecchie procedure cartacee, senza considerare che il medium sul quale avvengono i trasferimenti di dati è diverso e comporta tutta una sere di criticità specifiche. Una su tutte: un documento digitale può essere copiato all’infinito in modo assolutamente indistinguibile dall’originale. E su questo dovremmo chiederci la ratio per la quale viene chiesta la firma olografa su documenti inviati digitalmente, ad esempio.
Per finire, non posso non citare le varie assurdità del legislatore italiano in tema digitale, soprattutto per i processi democratici.
Dopo lunghe battaglie, finalmente nel luglio 2021 venne approvato un emendamento che consente la raccolta delle firme di sottoscrizione per la presentazione dei quesiti referendari anche usando SPID (ne parlo qui: SPID e referendum: un passo di Civiltà e Democrazia). Come forse pochi sanno, prima di allora l’unico modo valido per la raccolta delle sottoscrizioni è l’apposizione di una firma olografa su un modulo cartaceo precedentemente vidimato e timbrato, alla presenza di un “certificatore”, una figura appositamente nominata (es. consigliere comunale/provinciale/regionale, deputato, cancelliere, notaio…) che deve dichiarare, sotto la sua responsabilità, che le firme apposte sono state vergate in sua presenza e della cui identità –dei firmatari– è certo. Peccato che, come storia insegna, le cronache anche recenti sono costellate di falsificazioni più o meno evidenti…
SPID, nel bene e nel male, offre sicuramente garanzie maggiori a tal proposito e proprio in vista delle prossime consultazioni elettorali c’è chi, come la lista “Referendum e Democrazia” di Marco Cappato, ha raccolto le firme di sottoscrizione avvalendosi di questo strumento. Peccato che le Corti d’Appello hanno invalidato il tutto, confermando l’assurdità di un sistema elettorale antiquato, ingiusto e inefficiente.
Concludendo, mi sembra evidente che il problema non è tanto lo strumento digitale quanto la sua applicazione. Che, se sbagliata, diventa nemica del cittadino e ne complica la quotidianità. Quando, a sbagliare, è la PA, c’è pure l’aggravio di non poter beneficiare di alternative. Ecco perché ritengo prioritario che sia proprio la PA a compiere uno sforzo importante per una “buona digitalizzazione” dei processi, semplificando le procedure, eliminando le ridondanze nel rispetto del comma quarto dell’articolo 6 della legge 212/2000 (perché chiedermi ogni volta la data di nascita, se è già in vostro possesso?) ed effettuando, come ben sa chi progetta le interfacce utente, le prove di usabilità.