C’erano una volta aziende che fallivano se sbagliavano nella loro strategia. C’erano Banche che fallivano e criminali che venivano rinchiusi a vita nelle patrie galere, senza troppo clamore. C’era una dimensione locale o, al massimo, nazionale di alcuni fenomeni ed entità e le eventuali ripercussioni erano comunque circoscritte ad ambiti limitati.
Con l’appiattimento del mondo, definizione coniata dal sociologo statunitense Thomas Lauren Fiedman, le barriere regionali e nazionali sono state abbattute ed alcune entità sono diventate talmente grandi da potersi definire “multinazionali”. Fenomeno non solo legale, come quello delle aziende, ma anche criminale se pensiamo ai cartelli della droga, alle mafie, alla criminalità organizzata.
Proprio ieri sera, su Internazionale 1141 di questa settimana, un interessante editoriale di Lydia Cacho dal titolo “El Chapo ricatta Messico e Stati Uniti” riporta tragicamente alla mente il crollo finanziario mondiale del 2011 e la coniazione del “Too big to fail“, troppo grandi per fallire, relativamente alla banche coinvolte nel gigantesco scandalo dei mutui subprime e dei derivati.
Anche El Chapo, come riporta nell’articolo Lydia Chaco, è considerato una entità troppo grande per poter essere semplicemente tratta come un criminale perché “c’è la guerra delle informazioni, una guerra che il cartello di Sinaloa ha organizzato pazientemente nel corso degli anni. Raccogliendo video, fotografie, documenti e informazioni sui conti all’estero, i criminali si sono preparati ad affrontare i loro nemici, che in parte sono anche i loro alleati: i politici del Messico e degli Stati Uniti.“.
Che sia l’arma del ricatto o l’arma della destabilizzazione economica, il problema dei soggetti “too big to” è doveroso affrontarlo. Da un lato ovviamente il problema è strettamente politico, tanto che El Chapo può permettersi “di negoziare un accordo che gli permetta di vivere il resto della sua esistenza comodamente e non restare rinchiuso in isolamento” invece di marcire in una cella di sicurezza “senza contatti con altri prigionieri e con la possibilità di vedere il sole appena un’ora al giorno“. Dall’altro la questione è economica su scala planetaria, soprattutto in un mondo in cui ormai l’economia virtuale è di oltre 100 volte più grande dell’economia reale, tanto da avere ancora oggi soggetti bancari “too big to fail“, ovvero il cui fallimento avrebbe conseguenze talmente estese e gravi da costringere i governi ad evitarlo a tutti i costi.
La soluzione è ovviamente semplice, come titola un editoriale di Luciano Martinoli su WallStreetItalia:
Mr. Kashkari, che aveva servito come senior Tresaury Department official durante le Amministrazioni di Bush e Obama, dichiara esplicitamente che l’unico modo per evitare altre e future crisi sistemiche è quello di “spezzettare tutte le banche che hanno raggiunto la condizione di “Too big to fail”.Banche “too big to fail”? Rimpiccioliamole!
Il principio/problema del “too big to” è valido, con le dovute proporzioni, anche in contesti più piccoli. Esasperandolo, vale anche per ognuno di noi: ad esempio sul lavoro, quando ci adoperiamo per riuscire ad essere considerati “indispensabili” e, quindi, creiamo attorno a noi una aura di sicurezza data proprio dall’essere gli unici a saper fare una certa cosa (“too big to be…fired !”).
Ma, senza esagerare, restiamo in un contesto cittadino.
Pensiamo ad esempio all’importanza che ha l’azienda ILVA per l’economia e l’occupazione di Taranto o quello che rappresentava la FIAT per la città di Torino: aziende grandi, numericamente ed economicamente importanti, che sul piatto della concertazione avevano una forza spesso superiore all’autorità delle amministrazioni pubbliche. Situazioni in cui la violazione di norme era accettata e, talvolta, protetta grazie alla volontà politica di non colpire grandi serbatoi di voto, di occupazione, di soldi.
Anche a Siena si sta profilando una situazione molto simile con la Banca MPS, che rischia di trasformarsi da baricentro economico cittadino (anche se oligopolistico) a potente autocrate capace di dettare condizioni e termini ai soggetti politici elettivi, piegandoli al suo volere sotto il ricatto occupazione ed economico.
La posta in gioco è la libertà e la democrazia. Per alcuni, purtroppo, sono due valori negoziabili.