Riflettere prima di condividere è la lezione del giorno.
In tanti, forse troppi, hanno condiviso un video diffuso da un sedicente gruppo di “le IENE maremmane” dove si vede un grosso tubo che scarica in mare un fiotto di acqua e fanghiglia, sulla spiaggia di Marina di Grosseto, una nota località marittima toscana. Nel video si ascoltano commenti indignati sull’odore e sul fatto che stanno “scaricando petrolio e liquami inquinanti” su un mare classificato come “bandiera blu”. Sembra veramente di essere di fronte ad un episodio increscioso, da denunciare il più possibile. E così scatta il click sul “Condividi”, ignari che il video che stiamo contribuendo a promuovere potrebbe non rappresentare la realtà o, meglio, potrebbe mistificarla ad arte (Premetto che non ho idea di cosa sia vero, perché basare la mia opinione su una questione così delicata semplicemente vedendo un video lo trovo francamente troppo ingenuo, però un sano “principio di precauzione” mi porta ad aspettare di saperne di più prima di espormi a tal proposito).
Del resto che male c’è a condividere un video o un link ? Nessuna responsabilità, nessun rischio. In ogni caso, posso sempre invocare la buona fede, no ?
No. Condividere link o informazioni senza pima accertarsi della fonte o dell’attendibilità può anche provocare danni economici, come dimostra il fatto che diffondere un video allarmista su una zona turistica ne danneggia l’economia. E sono danni causati non solo dagli autori del video, che potrebbero averlo fatto in buona fede, ma vi è anche la complicità di tutti coloro che ne hanno favorito la diffusione. E poco serve, adesso, che le autorità rassicurino della liceità di quanto mostrato. Di chi è la responsabilità, in questi casi ? Chi risarcisce eventuali danni causati da una diffusione incontrollata di informazioni non veritiere o, comunque, non fondate ?
Ne avevo già parlato molte volte del problema dell’autorevolezza delle informazioni, soprattutto in Rete, attraverso strumenti come i fact-checker o la semplice precauzione di non condividere materiale proveniente da fonti non autorevoli (come mille siti civetta dai nomi volutamente errati, come “ilgiomale.it” o la “gazzettadellasera”). E comunque una verifica su un sito di bufale (come il celebre antibufala di Paolo Attivissimo) è sempre opportuna.
Tuttavia, ancora oggi, spesso si agisce prima di riflettere. Ed è quello che i creatori dei social network vogliono: più si condivide, più si aumenta la partecipazione e l’attenzione degli utenti. E, per finire il giro, più gli utenti vedranno i nostri contenuti a pagamento e ci permetteranno di guadagnare. Così anche gli scandali, le bufale, gli sciacallaggi e processi mediatici diventano occasione di business, ovviamente solo per pochi.
E per gli altri ? Per chi ha condiviso, magari in buona fede ? E per le vittime, per i quali non è neppure garantito l’oblio digitale delle falsità riversate su di loro ?
Per quelle, nel mondo social ed interconnesso, non c’è molto da fare. E scusarsi, per chi ha sbagliato, non è più di moda.