“Regola base dello Smart Working: Non importa come, non importa perché, non importa quando: le telefonate più importanti ti arriveranno sempre mentre sei in bagno.”
Sono in smart working ormai da 4 mesi. Lavoro da casa, dal tavolo di cucina, dove mi sono ritagliato un angolino tutto mio. L’ufficio casalingo apre subito prima di colazione e chiude poco prima di andare a letto, con qualche pausa più o meno lunga per le altre incombenze quotidiane.
Niente dress code, nel mio ufficio casalingo: quando è caldo si può lavorare comodamente in mutande, indossando infradito e senza essersi neanche lavati il viso. Le donne possono tranquillamente evitare di truccarsi, a meno che non ci sia una videochiamata in programma.
Requisito essenziale: una buona connessione a Internet. E tutta la dotazione informatica necessaria per poter svolgere al meglio la propria attività lavorativa.
Vantaggi: comodità, tranquillità, migliore gestione del tempo e riduzione dei tempi morti. Zero rischi sul viaggio di andata e ritorno dal lavoro. Zero consumi di benzina e zero inquinamento. Zero anche traffico e dover impazzire alla ricerca di un parcheggio. La mia fitband dice che faccio più movimento di quando sono in ufficio.
Contro: diminuzione dei rapporti sociali, aumento sensibile dei consumi delle utenze casalinghe, accesso pressoché illimitato a cibo e bevande (ricordatevi di fare la spesa, eh!).
I primi giorni sono stati complicati: dover capire le nuove dinamiche, riuscire a organizzarsi con i colleghi e imparare a gestire le esigenze. Adesso, dopo tutti questi mesi, mi sento perfettamente a mio agio e tranquillo, riuscendo a portare avanti nel modo migliore le esigenze lavorative.
Certamente non tutti i lavori sono adatti a poter essere fatti da remoto (dovremmo smetterla di chiamarlo “lavoro smart”, poiché di fatto è “lavoro da remoto”): nel mio caso, tuttavia, si tratta di passare gran parte della giornata lavorativa davanti a un PC. Attività che posso comodamente fare dal divano di casa attraverso un PC portatile e una ADSL.
Lavoro come dall’ufficio, per chi non lo avesse ancora capito, solo che riesco a farlo senza creare traffico, aumentare il livello di smog, occupare posti nel parcheggio. Certamente, come hanno detto anche alcuni amministratori (mi vengono in mente le dichiarazioni del Sindaco di Milano, Sala), questo comporta minor movimento di clienti e, quindi, anche i bar e i negozi potrebbero lavorare meno (non c’è più il classico “andiamo a prendere un caffè al bar?“).
Ovviamente lavorare da remoto richiede un minimo di “adattamento“. Al vantaggio di non doversi recare in ufficio e timbrare il cartellino, credo sia comunque necessario garantire sia la reperibilità che lo svolgimento delle attività previste.
La sfida sta tutta nel riuscire in quel cambiamento di paradigma dal “lavora 8 ore al giorno” al “non mi interessa quando, quanto e dove: entro X devi fare Y“. Lavorare su progetto, non sul tempo che si occupa una sedia dentro un cubicolo. In cambio, la maggiore flessibilità consente ritmi più rilassati, minore stress per raggiungere o tornare dal posto di lavoro (in certe metropoli questo può comportare anche ore di viaggio), minori rischi e costi, anche ambientali.
Lo dicono i dati, come quelli riportati dal Sistema Nazionale per la Protezione dell’Ambiente in questo articolo dal titolo “L’ambiente ringrazia lo smartworking“, analizzando le abitudini dei dipendenti.
Personalmente vedo nel lavoro da remoto il futuro di molte professionalità, soprattutto in ambito amministrativo. Ormai saper coniugare efficacemente l’uso degli strumenti telematici permette di far evolvere in tutto e per tutto il tradizionale “lavoro da ufficio” fatto di cartelline, faldoni, telefoni in bachelite, in una più fluida capacità di sfruttare le piattaforme di collaboration, e-mail e comunicazione. Sia dal salotto di casa che dalla spiaggia.
Si tratta ovviamente di una evoluzione a 360 gradi, che coinvolge anche gli esercizi commerciali: se da un lato i negozi del centro, dove sono gli uffici, potrebbero subire una riduzione della clientela, dall’altro le periferie ridotte a dormitori potrebbero riscoprire una nuova dimensione vitale e, complice la maggiore presenza di abitanti anche durante il giorno, stimolare la nascita di nuove attività commerciali.
Evoluzione anche sul fronte del know-how informatico dei lavoratori “smart” (oddio, definizione odiosa!), che si troveranno a dover talvolta imparare un modo di approcciarsi all’attività lavorativa diverso dal tradizionale modo a cui eravamo abituati. Apprendendo, però, le competenze ormai necessarie per qualsiasi attività abbia a che fare con un PC.
Spero che questa forte spinta innovativa, anche se improvvisa e un po’ maldestra, data dalla diffusione del Coronavirus non si spenga. E, soprattutto, che non sia vanificata dai soliti interessi di botteghina e dall’incapacità di manager e ministeri di vedere al di là del proprio naso.