Prima dell’avvento dei grandi supermercati, sorti in Italia ad iniziare dagli anni ’60, le nostre nonne si recavano in macelleria per la carne, dal fruttivendolo per la frutta e la verdura, dal pizzicagnolo per gli insaccati ed i formaggi, dal droghiere per lo zucchero e le spezie, al forno per il pane etc etc etc…
Con il boom economico cambiano diverse cose sia a livello sociale che a livello economico: il volto di alcune attività commerciali cambia e si adegua ai tempi, all’arrivo del consumismo e ad una mole maggiore di soldi che “girano” e che vengono investiti diversamente dalle famiglie.
Iniziano così a comparire le grandi catene di supermercati (il primo è stato l’Esselunga a Milano, nel 1957), che hanno assorbito pian piano gran parte della clientela dei piccoli esercizi a gestione familiare e ne hanno decretato il progressivo declino, almeno nei grandi e medi centri abitati.
Lì dove la concentrazione di utenti era interessante, soprattutto nei neonati quartieri periferici, dove si concentrava la classe media appena inurbanizzata ed imborghesita, nasceva subito un supermercato dove trovare di tutto, dal pane alla carne, passando per la gastronomia e lo scatolame. Insomma, un unico luogo dove poter fare “la spesa”, senza dover impazzire a cercare nelle piccole botteghe il cibo desiderato. Inoltre, la nascente e prepotente logica di mercato faceva si che queste grandi catene di supermercati potessero abbattere notevolmente i costi di gestione, offrendo alla clientela merci a costi ridotti rispetto al piccolo esercizio commerciale familiare.
Unendo così praticità e risparmio, l’Italia si adattò velocemente ad un nuovo modo di soddisfare le proprie esigenze in termini di cibo, perdendo il contatto con la produzione del territorio ed il rapporto del commerciante con il cliente, fatalmente trasformato in semplice utente.
Con la contrazione economica post-boom, arrivarono anche i “discount”, dove era possibile acquistare prodotti di marche sconosciute a prezzi decisamente convenienti, già dagli anni ’80. La prima catena ad entrare a gamba tesa, però, fu la Lidl nel 1992, che costrinse al ricollocamento di tutte le altre catene della grande distribuzione, arrivando ai giorni nostri con tre diverse fasce identificabili a seconda del target di clientela a cui sono rivolte: fascia bassa, fascia media e fascia alta.
Essendo però la grande distribuzione essenzialmente basata sui medesimi prodotti, la diversificazione si è imposta sull’attenzione ai prodotti del territorio ed alla qualità della gastronomia e dei prodotti da forno: si passa dal “precotto” alle farine prodotte con grano locale, dalla frutta e verdura di provenienza estera al km 0 biologico, alla gastronomia confezionata a quella fresca, prodotta dal laboratorio del negozio stesso. La qualità del servizio e del prodotto, ovviamente, influenza il prezzo, definendo la fascia di utenza al quale l’esercizio si rivolge.
In tutti i casi, tuttavia, viene meno il rapporto diretto tra cliente e commerciante: gli addetti sono tutti dipendenti, che spesso cambiano dopo poche settimane o mesi, rendendo di fatto impossibile lo stabilire una relazione fiduciaria che permetteva (e permette ancora, nei pochi casi rimasti) il rapporto fiduciario delle botteghe locali.
In un epoca in cui il consumismo ha evidenziato tutto il suo fallimento, trascinandosi dietro miliardi di tonnellate di immondizia e di sensi di colpa ambientalisti, dimostrando che la felicità non si può comprare e meno che mai il rispetto e la cortesia, la società si avvia a riscoprire i valori umani come “valore aggiunto” al prodotto.
Il declino dei supermercati e dei centri commerciali (per i quali vale un discorso analogo) è già iniziato.
Si riscoprono così le produzioni locali, gli agricoltori ed i contadini della zona, il mercatino della Coldiretti (che tra l’altro è l’ispiratore di questo post), la bottega di zona con prodotti particolari e di qualità.
Anche se i prezzi rimangono sensibilmente superiori all’offerta della grande distribuzione (impossibile competere con politiche così aggressive dei prezzi, che penalizzano i produttori ed il mercato in generale), la concorrenza sempre maggiore ha favorito un livellamento dei prezzi che, confrontato con il livello di qualità decisamente più alto, lascia chiaramente intravedere il futuro del commercio al dettaglio.
Dicevo nelle righe precedenti che il mercato della Coldiretti ha ispirato questo mio articolo: da qualche mese ho preso ad andare, il martedì pomeriggio, presso il mercato degli agricoltori alla Colonna di San Marco (SIENA). Lì trovo frutta e verdura di stagione e di qualità a prezzi adeguati, non trattata e coltivata con metodi tradizionali. Il sapore è tutt’altra cosa rispetto alle insipide zucchine della Coop o alle “mele di plastica” del Penny, anche se può capitare di incappare in qualcosa non di proprio gradimento. Mi è così successo che prendessi, una settimana fa, dei carciofi che adoro mangiare in “pinzimonio” (per i non toscani, inzuppando la parte tenera del fiore in olio, sale e pepe): erano un po’ duri, purtroppo, e quando ieri sera la ragazza mi ha chiesto se volessi anche dei carciofi, ho risposto che “no, grazie. l’ultima volta non mi sono piaciuti molto, erano duri !“. Niente di male, per carità, cose che possono capitare e che dipendono dai gusti individuali e dai metodi di consumo (magari cotti erano buonissimi) ma sono rimasto decisamente sorpreso quando mi ha offerto, gentilmente e gratuitamente, altri tre carciofi “perchè magari sei stato sfortunato e ti sono capitati quelli più duri“. Ho apprezzato, ed accettato, l’offerta e sono rimasto piacevolmente sorpreso di quell’attenzione al cliente ormai scomparsa, soprattutto nella grande distribuzione. Ed ho anche capito che il futuro passa per la riscoperta dei valori umani fondanti delle società, come la cortesia, l’onestà ed il rispetto reciproco. E la consapevolezza che il mercato in cui ci muoviamo deve essere planetario ma con una grande attenzione al locale perché è qui che abbiamo scelto di vivere, insieme ad altre migliaia di persone.
Noi, che troppo spesso aspettiamo che il cambiamento che tutti chiediamo cada dal cielo, dovremmo iniziare a cambiare noi stessi per primi, soprattutto nelle abitudini consolidate, così da sconfiggere anche quelle grandi e potenti lobby che affossano l’economia del nostro Paese.
Una buona, e consapevole, spesa a tutti.