Quante volte vi sarà capitato, magari mentre andavate a lavoro la mattina presto, di incrociare gruppi di veloci podisti di colore impegnati ad allenarsi ?
Chissà quante volte vi siete chiesti cosa fanno qui e perché corrono. Probabilmente vi sarete anche chiesti dove e come vivono, con chi e perché proprio qua, a Siena. O forse, rabbiosamente, avrete sibilato tra i denti “ma tornatevene a casa vostra !”, accecati dall’odio verso lo straniero, il rifugiato, il negro.
Per motivi che non vi racconto ho avuto modo di conoscere qualcuno di questi ragazzi. In particolare Simon, un giovane podista ugandese di neanche 30 anni che ha lasciato sua moglie ed i suoi due figli per inseguire la sua opportunità di una vita migliore, quella di diventare “campione”.
Simon, ed altri come lui, sono ragazzi che hanno la fortuna di correre più veloce e più a lungo di altri. Giovanissimi, si allenano nei campi di terra battuta africana e sperano di essere prescelti per iniziare la carriera di podista professionista, affiancare il loro nome a quello di atleti di fama internazionale come Daniel Kipngetich Komen o Venuste Niyongabo, il primo burundese a vincere la medaglia d’oro alle Olimpiadi (di Atlanta).
Vengono in Italia, sponsorizzati da squadre di atletica italiane che pagano per loro vitto ed alloggio in “campi di allenamento” (come il Tuscany Camp), dove si preparano per partecipare alle grandi competizioni atletiche europee, come le Maratone di Roma, Venezia, Firenze ma anche Berlino, Parigi…. (le squadre sono finanziate dal CONI, dalla FIDAL e dagli sponsor privati)
Per questi ragazzi è l’occasione di emergere da una realtà semplice, misera, ma a suo modo densa di umanità. Ed è di questo che vorrei parlarvi oggi, dell’umanità e della serenità di questi ragazzi, lontani mille km dalle loro case. Hanno visi da bambino, sempre pronti al sorriso, ed una gentilezza di altri tempi.
Provengono soprattutto dai paesi centro-africani, come Uganda, Burundi, Kenia. Non tutti parlano italiano: più spesso, a seconda delle colonie, parlano francese o inglese e molti di loro sono cristiani, così capita anche di incrociarli mentre stanno andando a messa, la domenica.
La loro è una vita fatta di allenamenti continui, anche due/tre volte il giorno, e competizioni dove devono sempre dare il massimo, pena il ritorno a casa e la fine di una carriera che, molto spesso, è l’occasione della vita per loro stessi e le loro famiglie.
Così, tornando a Simon, ieri sera è passato a salutarci: dopo essere arrivato terzo alla Maratona di Catania, tra qualche giorno salirà in aereo per tornare a casa sua, in Uganda, dove continuare gli allenamenti e sperare di poter partecipare alle Olimpiadi, il vero grande ed unico “trampolino di lancio” per entrare nella storia. Gli abbiamo regalato un bel po’ di cioccolata per i suoi figli, rimasta a casa nostra dal giorno di pasqua (dove in soli 3 bambini hanno aperto quasi 10 uova…), scarpe e vestiti che non usiamo più: è tutta roba che possono ancora usare o regalare ad amici e parenti.
Devo ammettere che mi è dispiaciuto molto sapere che a brevissimo partirà e, forse, non ci rivedremo più. Simon, con quel suo sorriso sincero e solare, mi ha fatto apprezzare una semplicità ed una spontaneità che non appartiene più alla nostra società, troppo impregnata dal male del consumismo e dell’egoismo. Poi ho pensato che tra poco Simon tornerà a casa sua, da sua moglie ed i suoi figli, ed allora mi sono accorto di essere stato molto fortunato ad essere nato a Siena, in Italia, in Europa.