“Essere moderno non significa possedere uno smartphone,
ma poter decidere di poterlo spegnere”
da Twitter
TL;DR Il lungo down dei servizi di Facebook, WhatsApp e Instagram, con tutte le conseguenze economiche e sociali del caso, deve farci interrogare sullo strapotere che queste piattaforme hanno sulla nostra quotidianità. Per reagire e non farsi più cogliere impreparati, puntando sulle alternative libere.
Periodo complicato per la Rete, tra attacchi, leaks eccellenti e blackout come quello accaduto nel pomeriggio (UTC) di lunedì 4 ottobre 2021: Facebook, Whatsapp e Instagram sono rimasti indisponibili per oltre 6 ore, con tutte le conseguenze del caso. E non era neppure la prima volta…
Le descrizioni tecniche dell’incidente sono state ampiamente discusse (segnalo il post di Cloudflare e quello del reparto ingegneristico di Facebook) e il cosiddetto “popolo della rete” si è sprecato in commenti e memes più o meno ironici sull’accaduto.
In realtà, credo ci sia ben poco da ridere. La faccenda è terribilmente seria, e dovrebbe farci capire la fragilità del mondo digitale (e non solo) contemporaneo.
Siamo ormai abituati a beneficiare di servizi digitali, che spaziano dalle chiacchiere tra amici all’accesso ai servizi bancari, passando per l’erogazione di servizi pubblici, come la prenotazione di esami medici. L’opinione comune, purtroppo molto diffusa, è che questi sistemi informatici, complessi e di alta tecnologia, siano infallibili. Del resto, Internet nasce con l’obiettivo di essere un sistema resiliente, capace di resistere anche a un attacco nucleare. Ma la Rete di oggi è ben diversa, sia come struttura che come impatto, rispetto a quella degli anni ’70 e ’80.
Anche se Facebook, WhatsApp e Instagram non sono Internet, ne rappresentano una bella fetta: secondo WeAreSocial, non solo il 60% della popolazione mondiale è on-line, ma le 3 piattaforme citate rappresentano oltre il 64% dell’uso “sociale” della Rete stessa!
Il problema non è, ovviamente, non poter leggere le chat tra amici. Il problema è quando questi strumenti sono usati, ad esempio nel caso delle Elezioni Amministrative di Trieste (“Il Comune di Trieste aveva deciso di utilizzare WhatsApp come sistema di comunicazione interno per gestire la trasmissione dei risultati tra i seggi.”), come strumento di comunicazione ufficiale.
Non è ovviamente finita qui: pensate a tutti i portali dove siete iscritti usando sistemi di autenticazione di terze parti, tipicamente Google o Facebook: se il servizio che vi autentica è off-line, non potrete accedere.
A cui si aggiunge il danno economico per tutti coloro che, di queste piattaforme, hanno fatto uno strumento di lavoro: pagine di Facebook non raggiungibili, profili di Instagram non disponibili, chat e comunicazioni dei clienti via WhatsApp non gestibili.
La questione su cui tutti siamo chiamati a interrogarci è semplice: possiamo permetterci di mettere nelle mani di un singolo grande player parte della nostra economia e delle nostre comunicazioni? Secondo me, no. Il motivo ce lo ricordano proprio questi incidenti che, anche se fortunatamente non così frequenti, hanno un impatto enorme sulla società (si parla di una perdita economica stimata in quasi 90 milioni di dollari).
Il problema non è solamente economico, seppure indubbiamente rilevante: sono in gioco aspetti sociali e politici che chi è stato chiamato ad amministrarci dovrebbe imparare a gestire e governare, non a subire spesso nella totale ignoranza e incapacità di valutarne gli effetti e le conseguenze. È un j’accuse duro, ma ormai non possiamo più permettercelo perché le conseguenze potrebbero ripercuotersi sulla tenuta del sistema Democratico e sulle libertà di ognuno di noi.
Non è più un innocente divertente passatempo, da qualche anno. Almeno non da quando lo scandalo di Cambridge Analytica ha messo a nudo la capacità di questi strumenti di interferire anche nei processi democratici. E solo oggi, finalmente, stanno emergendo studi concreti sulle conseguenze psicologiche nella società di queste piattaforme.
La sfida nel breve termine è tutta qui, e con un notevole ritardo anche le Istituzioni Italiane stanno iniziando a farsi qualche domanda: perimetro cibernetico nazionale, la sovranità dei dati e la sicurezza delle infrastrutture.
Ma anche noi semplici utenti, nel nostro piccolo, possiamo comunque fare molto già da adesso. Le alternative, per fortuna, ne abbiamo, come quelle offerte dal fediverso (Federated Universe), piattaforme che, attraverso protocolli comuni, condividono le informazioni offrendo servizi decentrati e resilienti. Oltre a un nutrito sottobosco di progetti, software e piattaforme alternative che, spesso, si dimostrano più sicure, performanti e funzionali di quelle più blasonate. Dateci un’occhiata, magari iniziando proprio dal progetto Le Alternative.
2 comments
Cito la frase
(“Il Comune di Trieste aveva deciso di utilizzare WhatsApp come sistema di comunicazione interno per gestire la trasmissione dei risultati tra i seggi.”)
per invitare chi fosse interessato a chiedersi [e a trovare con chi discuterne]
nel caso di una neo eletta amministrazione di un comune montano,
che volesse realizzare l’obiettivo [del suo programma] di “ricominciare insieme”, grazie a una progressiva capacità di comunicazione con e tra i propri cittadini, oltre che con le altre amministrazioni di una realtà territoriale molto frammentata,
sarebbe sufficiente adottare una APP, anche se scelta tra quelle [alternative] “non proprietarie”?
Un piccolo comune montano, se il territorio e le risorse lo permettono, sarebbe fantastico se riuscisse a dotarsi di una infrastruttura tecnologica indipendente (rete Wifi locale) e, al suo interno, sfruttare piattaforme come Matrix o basate su protocolli noti come XMPP/IRC. In ogni caso, credo che le Amministrazioni pubbliche dovrebbero stare lontane, per quanto possibile, dal basare le loro strategie di comunicazione su prodotti commerciali in mano a multinazionali.