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Quando le tue foto dicono di te più di quanto vorresti

    • ByMichele Pinassi
    • 07/10/2017

    “Una bella fotografia racconta una storia,
    rivela un luogo, un evento, uno stato d’animo, è più potente di pagine e pagine scritte.”

    Isabel Allende

    Sono stato ispirato a scrivere questo post da un documentario su John McAfee (non è un omonimo del famoso antivirus: è l’uomo che ha inventato quell’antivirus…) che ho visto su Netflix. Ad un certo punto della sua fuga dopo la morte del suo vicino di casa, Gregory Faull, John McAfee viene rintracciato dalle autorità per colpa di una foto pubblicata da un giornalista di Vice e scattata con il suo iPhone. Il giornalista, ingenuamente, non si era accorto che il suo smartphone memorizzava in ogni fotografia le coordinate geografiche del luogo dello scatto. E che questi metadati talvolta sopravvivono anche ad operazioni di fotoritocco e post-produzione.

    La parola chiave, l’ho già anticipata, è metadati. Tecnicamente si tratta di

    un’informazione che descrive un insieme di dati. I metadati rappresentano un metodo sistematico per la descrizione delle risorse informative e per migliorarne l’accesso e la gestione.

    I metadati sono praticamente ovunque: nelle foto, nei documenti, nel software… e sono spesso nascosti alla nostra vista immediata, poiché essenzialmente si tratta di informazioni tecniche di difficile interpretazione. Per farla breve, sono quei dati che informano il nostro programma di fotoritocco se una certa immagine è una JPEG o una GIF, se è ruotata oppure no, se lo scatto è avvenuto con il flash, gli ISO, l’esposizione etc etc etc…

    Uno dei formati più usati è l’Exif – Exchangeable image file format -che definisce lo standard più usato per le fotografie e file immagine. Esistono centinaia di tools per visualizzare questi metadati, tra cui alcuni anche on-line come metapicz.com: caricate una foto e saranno visualizzati a video tutti i vari tag presenti con il loro valore. Ad esempio, una foto scattata con il mio vecchio smartphone contiene…

    Come vedete, anche in questo caso il mio smartphone inseriva le coordinate di scatto della foto, permettendo a chiunque fosse abbastanza smaliziato da verificare di sapere esattamente dove mi trovavo in quel momento e cosa avevo fotografato.

    Probabilmente molti di voi si staranno chiedendo cosa c’è di male. Beh, è lo stesso motivo per il quale si sconsiglia di pubblicare on-line gli scatti della propria vacanza mentre si è ancora in vacanza: un eventuale malintenzionato potrebbe approfittare della vostra assenza per svaligiarvi la casa, no ? Ma le situazioni in cui non è desiderabile comunicare una informazione simile possono essere molte, alcune anche meno drastiche ma altrettanto dolorose…

    Altri dati sensibili sono la marca ed il modello dello smartphone in nostro possesso, la data e l’ora, la versione del software etc etc etc… tutte informazioni che potrebbero aiutare un eventuale malintenzionato ad effettuare una pericolosa invasione della vostra privacy.

    Come difendersi, quindi, dal mandare in giro queste informazioni ?

    La prima è di togliere dalle impostazioni dello smartphone l’inserimento automatico delle coordinate geografiche nelle foto: se può far comodo per ricordarsi dove eravamo quando abbiamo scattato il selfie con la fidanzata, forse pubblicare sul web queste info potrebbe farcene pentire.

    La seconda è quella di utilizzare uno strumento per la rimozione dei metadati (anche online) prima di diffondere la foto sul web: questo aiuterà ad evitare intrusioni indesiderate nella propria privacy online.

    Alcuni social network, come Facebook e Twitter, rimuovono tutti i metadati al momento del caricamento delle immagini ( probabilmente una misura di sicurezza a protezione degli gli utenti più ingenui) mentre altri, più dedicati alla fotografia, utilizzano tali metadati tecnici per dare informazioni in più agli utenti, come il tipo di fotocamera utilizzato, gli ISO, la lunghezza focale, il diaframma…

    Qualunque sia la finalità della nostra foto, è bene avere sempre la consapevolezza di ciò che diamo in pasto alle sterminate, e spietate, praterie del World Wide Web…

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    Michele Pinassi

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