“Quando metti la tua vita online non c’è più via d’uscita.”
Tutti noi abbiamo un confine, un limite, che possiamo accettare in cambio di un servizio. C’è chi preferisce pagare per avere, in cambio, maggiore privacy. Chi invece è disposto a rinunciarvi, almeno in parte, per avere un servizio gratuito o a basso costo.
La vera domanda, però, è quanto siamo consapevoli di ciò che stiamo realmente pagando per avere in cambio un servizio? Come ad esempio un account su Facebook o una casella e-mail su GMail.
“One of the reasons people say one thing and do another is they don’t know what’s going on”
Lee Rainie, director of internet and technology research at the Pew Research Center
Il New York Times ha predisposto un simpatico test Where Would You Draw the Line? (dove metteresti la linea?) per sensibilizzare i suoi lettori al tema della privacy, evidenziando le discrepanze tra ciò che siamo disposti consapevolmente ad accettare e cosa, invece, talvolta accettiamo senza averne piena consapevolezza.
Secondo alcuni studi condotti dal Pew Research Center, sono tanti gli americani disposti a sacrificare la propria privacy anche a livelli significativi in cambio di un vantaggio tangibile. Lo studio “Privacy and Information Sharing“, risalente al gennaio 2016, evidenzia alcune tendenze preoccupanti, come ad esempio un 52% del campione intervistato accetterebbe di “to have access to your own health records and make scheduling appointments easier. If you choose to participate, you will be allowing your doctor’s office to upload your health records to the website and the doctor promises it is a secure site.” (Scenario: Health information, convenience and security) oppure il 54% accetterebbe di essere ripreso da telecamere di sorveglianza sul posto di lavoro “to help identify the thieves and make the workplace more secure. The footage would stay on file as long as the company wishes to retain it, and could be used to track various measures of employee attendance and performance.” (Scenario: Workplace security and tracking).
Avevamo già affrontato la questione sulla difficoltà di capire esattamente come funziona un certo servizio a cui stiamo per iscriverci (“I have read and agree to the Terms” è la più grande menzogna del web), evidenziando come spesso le clausole e le condizioni che dobbiamo accettare sono complicate da comprendere o troppo lunghe da invogliarci a farlo.
La conseguenza di questa diffusione incontrollata dei nostri dati personali, che si traduce non solo nella pubblicità mirata o nelle noiose telefonate a ogni ora del giorno e della notte, è la creazione di una “bolla mediatica” (questo vale in particolare per i social network ma anche per alcuni motori di ricerca) per farci stare in un contesto sicuro e gradevole (dove spendere o far guadagnare di più). Una bolla che distorce la nostra percezione della realtà e, quindi, potenzialmente altera le nostre capacità di giudizio: elementi fondamentali per esercitare i diritti democratici nel modo migliore possibile.
The basic idea is that Facebook or some other social media provider could, and I think they should, provide you with an opportunity to see ideas that are different from those that you embrace. In a modest version of it, Facebook would ask you, “Do you want to see opposing viewpoints?” You could say no, but I predict a lot of people would click it.
Cass Sunstein
L’altro aspetto preoccupante è la possibilità di micro-targettizzarci: alcuni grandi attori del web sanno esattamente ciò che guardo, quando lo guardo, quanto tempo trascorro su un certo sito o quale tipo di notizie mi interessano. Sanno dove vado, con chi sono. Correlano queste informazioni con tutte le altre che quotidianamente raccolgono sulle mie abitudini e tracciano un profilo straordinariamente preciso di me. Con queste informazioni, sanno esattamente cosa propormi, come propormelo e quando.
Se tutto questo vi spaventa, sappiate che non è fantascenza: è semplicemente la realtà attuale. Quindi, dove metti la tua linea?