Sono rientrato ieri sera, definitvamente, dal mio primo Congresso AIB (Associazione Italiana Biblioteche): 3 giorni interessanti, pieni di ottimi spunti per progetti futuri e presenti.
L’argomento principe del Congresso era l’Open Access, un movimento che persegue l’accesso aperto e libero alla ricerca scientifica. L’Open Access si concretizza soprattutto attraverso una miriade di strumenti informatici, tra cui spiccano i repositories e le directory di queste banche dati, tra cui, ad esempio OpenDOAR. Il discorso è abbastanza complesso e comprende tutta una serie di meccanismi per l’indicizzazione dei contenuti delle banche dati (“harvesting”) e di protocolli (OAI-PMH, ad esempio).
Permettetemi una piccola parentesi: la location del Congresso, Auditorium di FirenzeFiera, non aveva collegamento ad Internet libero e neanche prese elettriche dove poter mettere a caricare i notebook e laptop vari…
Da citare il magistrale intervento di Roberto Caso, che con sagacia e professionalità evidenzia tutti gli aspetti principali del Copyright e della limitazione dell’accesso (“dalla vendita del prodotto alla vendita della licenza…”), ponendo in primo piano tutti i pericoli che ne conseguono.
Belli ed interessanti anche gli interventi di Jean Claude Guédon, di Thomas Galante (fantastica l’esperienza della Queens Library of New York), di Gino Roncaglia e di Paola Gargiulo (del CASPUR).
Innovativo e stimolante l’intervento di Virginia Gentilini, della Biblioteca di Sala Borsa (Bologna), che ha evidenziato la necessità di innovazione delle Biblioteche e dei servizi collegati, ricordando l’importante ruolo che hano oggigiorno i social networks.
Interessante, anche se non proprio sul mio tema preferito, la presentazione di Serena Sangiorgi sul progetto “Nati per leggere”
Impossibile non citare anche il saluto del Dott. Guerrini e la sua interessantissima esposizione dell’esperienza di Repository istituzionale all’Università di Firenze.
…non di minor nota gli altri interventi, ma perdonatemi se mi ricordo solo dei succitati 🙂
Altra parentesi: venerdì pomeriggio era in programma una interessante sessione sull’Open Access. Peccato che la sala adibita fosse troppo piccola in relazione agli intervenuti constringendomi a rimanere in corridoio !
Alcune note sparse sugli espositori:
- Scopus non funziona correttamente su sistema operativo GNU/Linux. Mi sono preoccupato di farlo presente
- Interessante il CMS sviluppato dal Gruppo Meta, realizzato in PHP su piattaforma LAMP ed Open Source.
- Tante le novità sul piano software e servizi: un evidente spostamento tra applicativi stand-alone e web è evidente.
…e se mi viene in mente qualcos’altro, son sempre a tempo ad aggiungerlo…no ? 🙂
1 comment
Beh hai davvero sintetizzato in modo estremo la tre giorni di congresso.
Non era il mio primo congresso …e visto che non c’è 2 senza tre 🙂
L’impressione più forte che ho ricevuto io dal congresso è che la situazione di crisi generale – i tagli economici alle biblioteche, i casi di censura in cui l’associazione si è esposta in difesa dei colleghi coinvolti, ma anche l’abisso in cui è caduta la politica italiana, l’evidente stato di insufficiente alfabetizzazione dei cittadini che mette persino in dubbio la definizione dell’Italia come stato democratico – insomma ho avuto l’impressione che tutto questo abbia accorciato le distanze fra bibliotecari che lavorano nelle biblioteche di ricerca e in quelle pubbliche, e che abbia contribuito a sdoganare temi su cui oggi si è creato un livello di consenso molto maggiore che in passato, ed insieme sempre più insistente – come è giusto e logico – la necessità di riposizionare l’attività delle biblioteche, di ridefinire l’oggetto della professione (fino al punto forse di smettere di pensare a noi stessi come soltanto bibliotecari), un’apertura verso gli utenti che non sia solo nominale, il rischio da correre nella comunicazione in rete, e tutto questo sullo sfondo di una situazione generale così grave che è impossibile decidere se sia disperata o, viceversa, bisognosa di qualunque tipo di apporto…
Il titolo del convegno, Accesso aperto alla conoscenza, accesso libero alla biblioteca si presentava fin da subito bifronte: Open Access in senso lato ma anche problemi della censura, dell’accesso, del ruolo delle biblioteche pubbliche, insomma della diffusione distribuita della conoscenza.
Tra gli interventi quelli che ho trovato più incisivi:
Paolo Traniello che, annunciando il suo pensionamento ricorda di aver visto fino ad almeno un paio di anni fa, all’interno di una scuola romana, un armadio vecchio, sprangato e con un bel cartello con sopra scritto “biblioteca”, a ricordarci mi pare la strada da fare oltre a quella già fatta!
Jean-Claude Guédon dell’Università di Montreal (splendido autore de “L’ombra lunga di Oldenburg http://bfp.sp.unipi.it/hj05b/viewContributionWindow.php?siglum=http://purl.org/hj/bfp/) parlando invece di Open Access, mi ha colpito soprattutto per due aspetti. Il primo è la sua richiesta di sostituire ad un sistema di valutazione dei risultati della ricerca scientifica basato sull’eccellenza, un sistema che consideri invece la qualità reale e diffusa della ricerca, in un’ottica di spostamento dalla competizione alla conversazione (da “ricercatori pavoni” a reali disseminatori di conoscenza e progresso). Il secondo è la definizione della conoscenza come bene diffuso da diffondere, al di là dei confini della ricerca scientifica in senso stretto, fra i cittadini, trovando metodi per farlo di cui l’open Access costituisce probabilmente solo un primo passo (leggi anche La conoscenza come bene comune curato da Hess ed Ostrom)
Gino Roncaglia (Uni Tuscia) parla degli strumenti dell’Open Access nella formazione, citando il caso degli Open Courseware (il più celebre, quello del MIT, fu ideato da bibliotecari) come esempio di come la didattica riusabile possa sfruttare, oltre agli strumenti dell’e-learning, anche risorse legate alla tradizionale didattica in presenza. Un esempio italiano è costituito da Federica, il pacchetto didattico liberamente fruibile messo a disposizione dall’Università di Napoli Federico II.
Paul Ayris (LIBER – University College London), facendo un’analisi del valore economico dell’Open Access, accenna al fatto di come il materiale ad accesso pubblico possa costituire una fonte utile anche per il mondo dell’industria, dimostrando come non esista necessariamente una contrapposizione netta fra esigenze commerciali e spinte verso la maggiore distribuzione possibile della conoscenza, al contrario. Lo stesso Roncaglia aveva d’altra parte già ricordato come, dopo l’apertura degli Open Courseware del MIT, anche la MIT Press avesse conosciuto un momento di espansione commerciale dovuto all’effetto generale di visibilità dei suoi prodotti.
Giovanna Malgaroli che dire dello splendido progetto Nati per leggere (http://www.natiperleggere.it/) il progetto e i risultati parlano da soli!
Thomas Galante (Queens Library, NY) propone una situazione di ricchezza in termini di numero di biblioteche, staff, risorse finanziarie, collezioni e programmi per la comunità che lascia tutti senza fiato. Per un bacino d’utenza di 2,3 milioni di persone ci troviamo di fronte a 62 biblioteche, con 1000 persone che lavorano a tempo pieno per una comunità rappresentata per la maggioranza da cittadini immigrati. Ma Galante li chiama semplicemente “nuovi americani” e ricorda come spesso essi provengano da paesi che non conoscono servizi bibliotecari per il grande pubblico. Un intero mondo da costruire, dunque, che si cerca di far vivere attraverso attività post-scolastiche per i ragazzi, formazione alle tecnologie, corsi per le famiglie (primi fra tutti, quelli di inglese), eventi culturali anche gestiti direttamente dalle comunità, programmi per la salute (http://www.queenslibrary.org/index.aspx?page_nm=QL_HealthLink), collezioni in lingue che mutano a seconda dei flussi migratori (un operatore della Queens Library: “Si possono mappare i problemi del mondo sulla base delle lingue parlate in biblioteca”), partnership con biblioteche di altri paesi.
Un elemento che mi sembra riassuma il senso generale e il successo di questo modo di lavorare: per 62 biblioteche situate in quartieri non facili di New York, soltanto due hanno bisogno di guardie. Nelle altre, è il coinvolgimento attivo del pubblico, a partire dai teenager, a renderle superflue.
Antonia Ida Fontana (direttrice – ma ancora per poco tempo – della Biblioteca nazionale centrale di Firenze) cerca di andare oltre la triste e nota situazione della Centrale per chiedersi quali siano le modalità per ridurre le spese senza ridurre i servizi. Risposte possibili stanno nella coordinazione dei servizi, in investimenti che producano anche entrate (da facsimili, vendita dei diritti all’immagine, spazi espositivi a pagamento eccetera), ma anche nei processi di partecipazione dei cittadini, in un terzo settore che vada oltre le semplici funzioni di sorveglianza che conosciamo in tanti musei ed istituzioni culturali e si spinga ad un uso più efficace delle competenze presenti. Fontana si spinge anche a dire che è necessaria una collaborazione fra le generazioni in cui siano gli anziani ad aiutare i giovani in questo difficile momento.
Tre giornate che hanno prodotto una notevole quantità di appunti e un’ancora più notevole quantità di impressioni … che ancora stanno decantando!