La sorte del pollo arrosto

Sono socio Coop da ormai molti anni e credo ancora nella funzione sociale delle cooperative (soprattutto da un punto di vista occupazionale), anche se sono sicuramente troppo politicizzate e rappresentano, soprattutto in Toscana ed Emilia, importanti “serbatoi di voto” e di “clientele”.

Comunque, discorsi prettamente politici a parte, passiamo al sunto della questione: ciò che rimane di cotto al banco gastronomia della Coop di Siena (ma sicuramente anche nelle altre filiali) viene letteralmente gettato nella spazzatura.

Sono passato dalla Coop per un bel pollo arrosto da gustarmi a pranzo e mentre ero in fila, a pochi minuti dalla chiusura, la signora davanti a me chiede mezzo pollo. L’addetta della Coop le dice: “se lo prende intero, lo paga al 50% !“. A quel punto anche noi diciamo, a voce alta: “beh, se è così lo prendiamo intero anche noi !“. Cenni di assenso anche dalle altre 2-3 persone in coda. L’addetta continua: “siamo ormai all’ora di chiusura e quello che avanza andrà gettato…“. Intervengo: “beh, proprio buttato forse no…finirà in qualche mensa, come quella della Caritas !“. L’addetta mi guarda, perplessa: “no, no…questi polli finiscono direttamente nella spazzatura: non possiamo, per legge, fornire cibi cotti alle mense !“.

Rimaniamo tutti basiti davanti alla risposta, scioccati all’idea che decine di polli arrosto -buoni e caldi- finiscano nella spazzatura perché stupide leggi legiferate da stupidi politici permettano un simile spreco.

Mi sono sentito avvilito al pensiero delle tante famiglie che non riescono più ad acquistare cibo e si rivolgono alle “mense dei poveri”. E penso a tutti gli altri sprechi di cibo che quotidianamente avvengono nelle varie mense e negozi.

Eppure all’estero, in particolare a Londra, si stanno sperimentando nuove esperienze per ridurre gli sprechi, come questa, mentre in Italia ancora si sprecano, ogni giorno, tonnellate di cibo.

Possibile che non vi siano, in Italia, soluzioni per riutilizzare, riciclare, donare il cibo ancora commestibile ?

In effetti il recupero del cibo invenduto è possibile, come indicato dalla Legge 155/2003 detta “Del Buon Samaritano” che proprio all’Art.1 indica:

1. Le organizzazioni riconosciute come organizzazioni non lucrative di utilità sociale ai sensi dell’articolo 10 del decreto legislativo 4 dicembre 1997, n. 460, e successive modificazioni, che effettuano, a fini di beneficenza, distribuzione gratuita agli indigenti di prodotti alimentari, sono equiparate, nei limiti del servizio prestato, ai consumatori finali, ai fini del corretto stato di conservazione, trasporto, deposito e utilizzo degli alimenti

e vi sono anche realtà imprenditoriali interessanti, come la Onlus Equoevento “nata nel dicembre del 2013 a Roma da cinque amici che rendendosi conto dell’enorme spreco di cibo durante gli eventi, hanno voluto organizzarsi per porgervi rimedio, recuperando e donando le eccedenze alimentari a enti caritatevoli.“. Carlo De Sanctis, uno dei fondatori, ha raccontato al Sole 24 Ore che In otto mesi abbiamo recuperato e portato sulle mense dei poveri le prelibatezze più ricercate, dal carpaccio di polpo alla pasta al tartufo, passando per 100 porzioni di spigola al forno, 20 chili di filetti in salsa di funghi, ma anche melanzane alla parmigiana, olive ascolane e molte altre vere chicche culinarie, che per un giorno hanno fatto la felicità dei meno fortunati”.

Insomma, con un po’ di buona volontà, il recupero di cibo è possibile. Purtroppo però si parla ancora di esperienze molto marginali, che certo non riescono ad arginare uno spreco italiano stimato in 35% di prodotti freschi, 19% di pane e 16% di frutta e verdura.

Non possiamo più permetterci un simile spreco e la politica, come al solito, ha la responsabilità di provvedere affinché questo non succeda più.

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