All’indomani delle polemiche scatenate da alcune associazioni animaliste in merito al Palio di Siena con la conseguente, e naturale, reazione da parte dei senesi, è d’obbligo una riflessione su ciò che vuole dire aprirsi ad un mondo sempre più interconnesso, dove è tecnicamente impossibile mantenere il controllo di ciò che viene diffuso, mostrato, condiviso.
Non è solo una conseguenza della diffusione dell’uso dei social networks, per i quali avevamo già discusso in passato, ma di ciò che vuole dire per una società ristretta, come può essere quella senese, scegliere di aprirsi al mondo e di mostrare la parte più intima di sé, come la nostra Festa. Scelta peraltro sempre meno facoltativa, in quanto è impossibile impedire a liberi cittadini di assistere, partecipare, riprendere, condividere e diffondere anche immagini sgradevoli, come il tragico evento accaduto durante le prove della carriera di Luglio.
Anche perché, come dimostra la stessa foto di copertina di questo articolo (da me scattata proprio il 2 Luglio in Piazza del Campo), dal tradizionale sventolio dei fazzoletti dei contradaioli rivolto al Carroccio come gesto di “buon auspicio” (per attirare a sé la fortuna) si è sostituita l’alzata di centinaia di smartphone e telecamere pronte a registrare, e condividere in rete, ogni singolo attimo, bello o brutto che sia. Anche lo stesso Consorzio di Tutela del Palio, nato nel 1981 proprio per tutelare la nostra Festa ed i suoi simboli, a seguito dell’esigenza di “dotarsi di uno strumento in grado di tutelare la storia, l’immagine e la dignità del Palio“, non può più essere efficace in un mondo interconnesso come l’attuale per far si che “sia rispettata la corretta riproduzione e descrizione dei simboli e dei marchi con particolare attenzione a che il contesto del loro utilizzo non sia lesivo, offensivo o denigratorio dell’immagine della festa e delle contrade“.
Anche se nel mondo dei media mainstream, grazie ad accordi commerciali e vincoli contrattuali, è ancora possibile mantenere un certo tipo di controllo su ciò che viene trasmesso, per tutti gli altri canali di comunicazione – Internet in primis – come riuscire a mantenere il controllo ? Impossibile, così come è impossibile pretendere che i potenziali 7 miliardi di abitanti del Pianeta e pertanto “potenziali spettatori” possano comprendere o quantomeno rispettare qualcosa che è patrimonio unico di Siena e dei suoi abitanti.
Ovviamente questo accade per qualunque altro evento, dalle corride al dramma delle “spose bambine” yemenite (chi ne aveva mai sentito parlare, fino a 10 anni fa ?), per finire con il macabro rituale dell’infibulazione: in questi casi l’azione di denuncia supportata dalla Rete ha stimolato l’opinione pubblica a reagire per combattere tradizioni centenarie, di cui nessuno aveva notizie fino all’avvento della Rete.
Gli stessi movimenti di reazione contro i regimi – come la Primavera Araba – o di opinione – come gli “Indignados” e Occupy Wall Street – sono nati e cresciuti grazie alla Rete, impossibile da controllare anche dai governi autoritari (in Cina, per mantenere il controllo sulla Rete, esistono proxy governativi e leggi molto restrittive per tutti i provider).
Certo, ad una lettura superficiale può stridere il confrontro tra il Palio di Siena ed Occupy Wall Street ma ciò che vorrei è far riflettere sulle conseguenze di questa ipermediatizzazione che pervade ogni aspetto della nostra società, dalla necessità di “condividere le foto del figlio appena nato” al “comunicare code per traffico in una certa strada” al “denunciare una truffa”. Ed il Palio di Siena certo non può esserne avulso, con tutti i vantaggi (soprattutto sul piano economico) e svantaggi (pubblicizzazione anche di ciò che non vorremmo fosse pubblicizzato) che ne comporta.
La sfida per il futuro è riuscire a conservare le nostre tradizioni, patrimonio unico ed insostituibile della nostra città, in questa nuova società: chiudersi dentro le mura cittadine non è la soluzione ma neppure aprirsi più di quanto la nostra dignità di senesi lo consenta.