Richard M. Stallman, padre “politico” del software libero e fondatore della Free Software Foundation, sabato era a Siena, ospite della Scuola Media Iacopo della Quercia. Un sabato molto affollato perché, tra eventi di fitness, la corsa podistica Siena-Bagnaia e la partita del Siena, in pochissimi hanno saputo della conferenza sul software libero tenutasi nella piccola palestra della Scuola, affollata soprattutto dai genitori dei piccoli studenti e pochi altri curiosi.
Assente l’Amministrazione Comunale ed assenti anche tutti gli altri esponenti della politica cittadina e rappresentati delle istituzioni senesi -Università inclusa-, escluso ovviamente il sottoscritto. Vuoi che l’evento era in sordina, vuoi che era un sabato particolarmente ricco di eventi, vuoi che Stallman non è multimiliardario come il ben più famoso Bill Gates o come il defunto e (in my humble opinion) sopravvalutato Steve Jobs, ma ritrovarsi a discutere di un tema così importante anche sotto il profilo politico in un sottoscala trasformato in palestra di una scuola media (con tutto il rispetto per gli organizzatori) è quantomeno imbarazzante.
Imbarazzante
Imbarazzante perché ognuno di noi deve, in un certo qual modo, l’uso di alcune tecnologie a quest’uomo. Penso agli smartphone Android, penso ai tanti “GNU/Linux” embedded nei router wifi e ADSL nelle nostre case, penso ai firmware delle nostre TV “Smart”, tutti oggetti basati su sistema operativo GNU/Linux, di cui Stallman è il padre della prima, del progetto GNU (si pronuncia “Ghnu”, con la G secca, e l’acronimo sta per “GNU’s Not Unix”). Imbarazzante, perché passato davanti al Rettorato dell’Università di Siena c’erano i cartelloni a pubblicizzare la notte dei ricercatori, che essi stessi devono parte dei loro strumenti e delle loro opportunità (penso ad Arduino, progetto italiano, o a Udoo, progetto proprio dell’Università di Siena) proprio alla caparbietà di Stallman e di quelli come lui, che negli anni ’80, in un contesto pesamente condizionato dalle grandi corporation come IBM, HP, Xerox, comprese l’importanza della libertà del software.
Ma perché preoccuparsi tanto che il software sia libero ?
In realtà è importante che esista il software libero, non che tutto il software sia libero. Anche se produrre software proprietario è immorale (almeno secondo il pensiero di Stallman), perché priva il resto del mondo della possibilità di conoscerlo, di studiarlo e di migliorarlo, la vera questione è se in un mondo sempre più dipendente dai sistemi informatici e dal software possiamo permetterci, non tanto noi utenti quanto i governi e gli enti pubblici, di usare strumenti “blindati” apribili solo dalle grandi corporation.
Non è un problema banale né da sottovalutare, tanto che il rischio più concreto è che nei software closed-source o “proprietari” vi siano delle backdoor o spyware capaci di mettere a repentaglio la sicurezza dei dati e la funzionalità stessa delle macchine. In un film che ho visto di recente, ad esempio, alcuni hacker “blackhat” sfruttavano una falla nel codice per accedere ai sistemi di controllo di una centrale nucleare: scenario plausibile, in un mondo totalmente controllato da sistemi automatizzati ! Certo, con questo non voglio dire che il software libero sia più sicuro ma certamente la possibilità di visualizzare il codice sorgente e di analizzarlo (o farlo analizzare da esperti, nel caso) è una tranquillità non da poco. Altrimenti tutto si basa sulla fiducia ma, sinceramente, quanto siamo disposti a fidarci di grandi aziende internazionali deputate esclusivamente al profitto ? Talmente grandi e potenti da essere capaci di imporre formati standard de-facto, come il .DOC di Microsoft Office.
Talmente potenti da aver condizionato milioni di persone, utenti, complici inconsapevoli della conquista, certificazioni e “patenti europee informatiche” comprese (solo quest’ultimo argomento meriterebbe un post a parte), della “cultura informatica” da parte di MS Windows, quel sistema operativo che da oltre 25 anni troviamo installato in ogni PC che compriamo.
La mia, sia ben chiaro, non è l’ennesima “guerra di religione” tra sistemi operativi: ognuno di noi è libero di usare ciò che vuole, Windows compreso, ma il problema nasce quando la scelta viene fatta non dai privati cittadini ma da Enti Pubblici. Costretti a pagare fior di milioni di € in licenze software (Software libero, la Pa risparmierebbe 675 milioni, Il Fatto Quotidiano) per un prodotto che non sanno come funziona, non possono verificarne le funzionalità, controllarne il codice e, soprattutto, se qualcosa va storto devono affidarsi in toto all’azienda che lo produce. No way, nessuna alternativa: è come acquistare un’auto di cui solo la fabbrica ha la chiave per aprire il cofano …e se restiamo a piedi in autostrada ?
Per legge, dal 2012, le PA sono obbligare a considerare anche soluzioni libere nell’acquisto di software. “Considerare” e non “obbligate”, tanto che la scappatoia è facile: basta dichiarare che c’è la necessità di una particolare funzione adottata solo dal software commerciale e la spesa diventa giustificata ! Spesa che ovviamente ricade tutta sulle spalle di noi cittadini, alimentando un enorme circolo vizioso tutto a beneficio delle software corporations.
Pensiamo del resto anche solo all’indotto, enorme, che gira intorno a Microsoft Windows, come quello creato dai programmi antivirus. O dalla necessità di avere hardware sempre più potente per tenere il passo con software sempre più esosi di risorse. Per non parlare delle migliaia di piccole e piccolissime aziende che offrono supporto commerciale a software e hardware, spesso limitandosi a fare pulizia o a reinstallare il sistema operativo: qualitativamente parlando, un lavoro di bassa manovalanza, paragonabile alla sostituzione delle lampadine bruciate dai fanali di un’auto.
Ma se il software che scrivo è libero, e quindi gratuito, come posso guadagnarci ?
Questa è la domanda che ha fatto un giovane ragazzo, di circa 16 anni, a Stallman. La risposta, secca e perentoria: “Sviluppare software commerciale è immorale pertanto non poterci fare soldi non è una scusa accettabile: se non riesci a vivere con il software libero, cambia lavoro !“. Ovviamente scherzava, o forse no. In realtà, come poi ha spiegato dopo, ci sono decine di opportunità imprenditoriali nel settore del software libero, come la consulenza (questa volta si parla di consulenti specializzati, esperti) o lo sviluppo di software ad-hoc per compiti specifici. E’ chiaro che quando tutti possono vedere e studiare il software che scrivi vi è una competizione meritocratica sulla qualità: acquistereste mai un’auto dove, aprendo il cofano, vi trovaste davanti un groviglio di fili tenuti assieme con nastro adesivo e chewing-gum ? Ma se il cofano è blindato, chiuso a chiave, come potete controllare la qualità del prodotto ?
Al bivio sulla strategia che vogliamo adottare abbiamo due strade: il software commerciale, che offre ai nostri giovani auto bellissime e semplici da guidare ma dal cofano blindato dove, al massimo, poter cambiare una lampadina e lucidare la carrozzeria OPPURE auto forse un pò meno belle e meno facili da guidare ma con il cofano a disposizione, impianti ben fatti ed un manuale “di officina” così che chiunque possa capire ed aggiustarla in caso di problemi.
Voi quale scegliereste ?
1 comment
Innanzi tutto la ringrazio per il suo commento e mi scuso per il ritardo nell’approvazione dello stesso. In secondo luogo l’imbarazzo a cui mi sono riferivo era per Siena, inteso come modo che ha la società cittadina tutta di accogliere un personaggio che può tranquillamente essere considerato al pari, se non superiore, ad uno Steve Jobs o ad un Bill Gates, con la sola differenza -non mi ripeterò oltre- semplicemente dell’entità del conto in banca.
Ma sinceramente, lei ce lo vede Bill Gates in un sottoscala di una scuola pubblica ? Anzi, mi perdoni, francamente trovo imbarazzante anche solo il fatto che gli studenti di una scuola pubblica debbano fare sport in un luogo del genere. Ma tant’è, siamo in Italia e tra arretratezze varie dobbiamo anche combattere con l’assoluta inadeguatezza delle strutture deputate alla conoscenza, riciclate ad auditorium se necessario.
Perdoni la breve digressione polemica, che in realtà è il “cuore” della mia decisione di usare il sostantivo “imbarazzante”: abbiamo fior di aule magne e di luoghi ben più istituzionali ma, come ho scritto, l’imbarazzante assenza (spero stavolta concordi con il termine) delle istituzioni è indice dell’importanza che ancora oggi viene data ai temi come “libertà” e “consapevolezza”.
Ovviamente, e ci tengo a sottolinearlo, un plauso agli organizzatori dell’iniziativa, interessantissima e necessaria per provare a risvegliare dal torpore decennale le assopite coscienze cittadine.
Saluti, MP